Dalla Svezia con furore, ecco la brava (e bella) Amanda Jenssen, ventottenne pressoché sconosciuta dalle nostre latitudini, ma vera superstar in madrepatria. Questo “Hymns for the Haunted” è il suo terzo album in studio ed è un buon punto d’arrivo di una carriera partita in maniera non esaltante (il debutto “Killing My Darlings” è caruccio, ma decisamente impersonale), ma proseguita in maniera qualitativamente crescente: se già il precedente “Happyland” aveva segnato l’abbandono del pop-soul facilotto degli esordi in favore di atmosfere jazzy dal piglio più teatrale, “Hymns for the Haunted” segna il definitivo abbraccio di tale teatralità, nonché di un’identità artistica tutto sommato ben definita.

Se all’inizio Amanda scimmiottava un po’ troppo la Winehouse (pur con una grinta a questa sconosciuta), giunta al terzo album sembra aver capito chi vuole essere musicalmente: pur rimanendo presente la matrice pop del debutto, il soul si sporca di elementi rock e si tinge di oscure atmosfere circensi, come ampiamente suggerito dalla copertina. Alla fine il risultato non è nulla di nuovo o che non si sia già sentito, ma una visione d’insieme del progetto ben definita e la grinta della Jenssen riescono a rendere l’ascolto gradevolissimo, grazie anche a una produzione intelligente che dà ai suoni un sapore di autenticità assolutamente non scontato: sembra infatti di ascoltare un lavoro registrato interamente in presa diretta, senza eccessive laccature, tanto che si ha più volte la sensazione di sentire per davvero un polveroso disco di non pochi anni fa. Da notare poi come, di tutte le dodici tracce, non ce ne sia una che suoni come un mero tappabuchi: “Hymns for the Haunted” scorre liscio come l’olio dall’inizio alla fine, con pezzi generalmente su livelli medio-alti che in alcuni casi toccano picchi notevoli. In questo senso si rivela vincente la scelta di ridurre a poche le ballate (le bellissime “Illusionist” e “Michael’s Garden”, vere perle dell’album), per insistere su pezzi decisamente up-beat (“Leon”, “Boom”, “Volcano Swing”, “Thunderful Jolene” e il singolo “Dry My Soul”) che ogni tanto calano leggermente il ritmo per dare tempo al disco di respirare, esigenza da cui nascono il canto corale di “Lay Down” e l’eterea “Light and Easy”. Il mood oscuro che pervade tutto il lavoro raggiunge infine il suo culmine con la tetra “The Carnival”, posta a chiudere l’album con un finale più che azzeccato. In tutto questo risplende di luce propria il talento canoro della Jenssen: Amanda, con il suo timbro scuro a tratti delicato, a tratti sporco e graffiante, è infatti una vocalist di primissima qualità, dotata di un grande controllo dei suoi mezzi, grazie al quale le sue interpretazioni sono sempre ben dosate ed equilibrate e solo all’occorrenza un po’ sopra le righe; da non sottovalutare sono pure le sue capacità di scrittura, dato che il disco è interamente scritto da lei.

Insomma, l’interprete c’è, il talento nel song-writing pure e, considerato come quest’ultimo si è raffinato nel corso del tempo, la curiosità per il prossimo album sarà alta, sperando magari che Amanda (o chi per lei) si decida a portare la sua musica fuori dai confini della Svezia: le capacità per ambire a numeri e palchi più grandi ci sono, sta solo a lei provare a fare il passo in avanti che serve per conquistarli.

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