Gli Apoteosi sono uno dei tanti gruppi di Rock Progressivo Italiano che si sciolsero dopo aver dato alla luce un unico album. In questo caso l’album è degno di menzione, a mio parere, ma prima voglio parlare un po’ del gruppo.
Gli Apoteosi furono quella che si dice una family-thing, con i fratelli Massimo Idà, (piano, sintetizzatore), Silvana Idà (voce) e Federico Idà (basso, flauto) tra le sue fila. Batteria e chitarra affidate a Marcello Surace e Franco Vinci rispettivamente. Come qualcuno avrà notato, i cognomi suggeriscono che il gruppo provenga dalla Calabria, e così è; gli Apoteosi poi, come altri gruppi prog del sud dell’italia, registrarono tardi: il disco in questione è del 75. Il produttore, Salvatore Idà, è il padre di più di metà gruppo e rilasciò l’album con la sua minuscola etichetta. La versione in vinile è tuttora un pezzo da collezionisti.
Musicalmente parlando c’è poco da dire e molto da ascoltare. Sono soltanto 35 minuti di musica per cinque pezzi. Si tratta di prog italiano guidato da tastiere irrequiete in cangianti cavalcate e di stacchi di lento piano addolciti dalla voce della cantante, principalmente. Se piano e chitarra sono scorrevoli e fresche e si seguono con piacere, a mio parere è la base ritmica, basso e batteria, che si perde un po’ in arzigogoli e non riesce ad accompagnare sempre a dovere le canzoni, pur trattandosi sempre di virtuosi del loro strumento. Talvolta l’impressione è quella di molte idee cucite insieme alla meno peggio. Tra i brani i più significativi sono la bella introduzione "Embrion" e "Prima Realtà/Frammentaria Rivolta", che da soli possono dare un idea chiara delle possibilità e delle caratteristiche del complesso. Un po’ insipida "Dimensione Da Sogno" e deludente la finale title-track che fa molto presagire ma che è una scala sul nulla (normale jam session). L’incisione è sorprendentemente tonica e bilanciata, cosa non comune alle produzioni minori. La struttura delle tracce è molto inusuale e non troverete un ritornello in tutta la durata dell’ascolto.
I testi dell’album si possono tralasciare (le parole “lembo di terra”, “lavoro”, “sudore” vengono ripetute più volte nell’album), mentre riporto un estratto delle note di copertina: “Questo disco non è il frutto di una minuziosa ricerca strumentale, bensì è la sintesi di impressioni istantanee. Si nota, infatti, una certa frammentarietà di composizione, caratteristica da noi accettata perchè rispecchia in parte il problema da noi trattato. Frammentarietà e disunione, sono le piaghe che purtroppo esistono nel meridione. Il meridione rischia di restare apaticamente assopito nel suo malessere e vi è quasi una rassegnazione al ruolo di subalterno. Noi pensiamo invece che nel meridione, pur nel quadro di questa antica stanchezza, vi sia oggi la necessità di un pizzico di riflessione, di maturità culturale, che possano, un giorno, a dispetto del sonno di molti, trasformarsi in forza motrice per le realizzazioni di una società migliore”. Firmata Federico Idà, questa nota mi sembra la più adatta a descrivere il tema dell’album.
La cosa che stupisce di più del lavoro dopo averlo ascoltato è scoprire l’ età di alcuni dei membri: Federico è diciassettenne, il pianista Massimo appena quattordicenne. Quest’ultimo fondò il gruppo addirittura a sei anni dividendo il suo tempo tra studi classici e l’attività di fonico. Il gruppo si scioglierà poco dopo la pubblicazione della loro prima opera.
Il fascino un po’ oscuro e un po’ triste che gli unici lavori di gruppi onesti danno c’è ed è una sensazione ricorrente nell’ascolto. Ciononostante Apoteosi mi sembra un buon ascolto per tutti gli amanti del Progressive e del RPI soprattutto.
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