Gruppo alla ricerca di un'identità? Dove vogliono andare a parare questi quattro tizi del Maryland? Sono le domande ricorrenti che si pongono quei pochi che hanno conosciuto le peripezie musicali di questa band: dall'inizio sottotraccia di “Long Live The Well-Doer”, passando per la gemma “Rites Of Uncovering” e per un lavoro di minor fattura come “Song Of The Pearl”. “The Gathering” ci aveva riproposto una band in forma e capace di variare la sua proposta, andando ad approdare su lidi maggiormente rocciosi e rock di quanto avesse fatto in passato. Ma la sensazione sprigionata dagli Arbouretum è che nella loro ormai decennale carriera, la band non sia ancora riuscita a decifrare un modus operandi del tutto personale, che gli permettesse di evitare lo scivolamento sia in “imitazioni”, sia in una discografia altalenante e non del tutto omogenea.

Per tutti questi motivi l'uscita del quinto lavoro “Coming Out Of The Fog” alla fine del 2012 era attesa con curiosità: soprattutto c'era voglia di scoprire se Dave Heumann avrebbe ulteriormente ispezionato il grande mondo del rock, per trovare l'ambiente più congeniale agli Arbouretum. Ancora una volta il gruppo di Baltimora tira fuori un cd che cerca diverse soluzioni, ma se in passato quelle trovate erano convincenti e avevano anche un pizzico di doverosa ingenuità, l'ultima fatica sembra spaziare di qua e di là, senza avere una meta precisa. Va detto che COOTF ha brani di tutto rispetto, a partire dalla splendida opener “The Long Night”, un rock cadenzato infarcito dal timbro di Heumann. Più spregiudicatezza nello stridio chitarristico di “All At Once, The Turning Weather”, particolare proprio perchè lontana dal bagaglio artistico che i nostri ci hanno mostrato in passato.

Ma è “Oceans Don't Sing” la canzone della verità: quella che più si riconnette alle divagazioni psych e narcotiche di “Rites Of Uncovering”. Una ballata malinconica impreziosita prima dalle linee vocali di un Dave Heumann ispirato, poi dai movimenti sinuosi di una chitarra in grado di rievocare l'atmosfera della splendida copertina. Come se gli Arbouretum riuscissero ad esprimersi al meglio proprio guardandosi indietro, a quei lavori maggiormente rifessivi che probabilmente restano quelli più riusciti (mi riferisco in particolare a “Rites Of Uncovering”).

Per il resto il full lenght si muove su coordinate non ben definite e brani come “Renouncer”, “The Promise” e la titletrack, pur avendo un loro perchè, non riescono ad incidere come dovrebbero. Non sono riempitivi ma allo stesso tempo non hanno quella “scintilla” che faccia fuggire via questa sensazione.

Il quinto parto di casa Arbouretum è un disco che sottolinea di nuovo il lavoro svolto da Heumann (senza il quale la band non avrebbe senso di esistere) e che purtroppo ci conferma nuovamente un gruppo di musicisti che non riescono ad individuare il loro orizzonte ideale. L'eterogeneità del cd si riflette in tutto il trascorso della carriera degli Arbouretum, e di fatto costituisce un freno al raggiungimento di un determinato apice compositivo. C'è da aspettare che la nebbia del nuovo lavoro si diradi completamente...

1. "The Long Night" (3:58)
2. "Renouncer" (4:55)
3. "The Promise" (5:07)
4. "Oceans Don't Sing" (5:33)
5. "All At Once, The Turning Weather" (6:46)
6. "World Split Open" (5:01)
7. "Easter Island" (2:45)
8. "Coming Out Of The Fog" (5:28)

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