Roma. Il sole è alto sul fiume torbido e fermo, quasi ti scruta con quel suo scorrere lento. Ti chiama, ti ipnotizza silenzioso. Lontano lontano i richiami musicali di 'Chimera' degli Ardecore che riflettono come l'acqua sui muri eterni di Roma, sugli argini del fiume biondo, sulle barchette sgangherate, su due passanti, un uomo ed una donna, che camminano distanti fra i vicoli dimenticati. Lei lo sapeva che non avrebbe dovuto tirarlo fuori questo disco se ancora la cotta per il primo dell'ensamble romano non gli era passata e invece fa di testa sua, come sempre, e le inonda il cuore come la vista de sto fiume silenziosissimo...

La formula è sempre quella: schizzi d'amore, rabbia e poesia violenta e passionale persi fra richiami jazz, folk, musica d'autore, stornelli, dialetto romano e mandolini, sporcati, per questa volta, di un velo 'elettrico' che copre gentilmente tutto di modernità.

Se in 'Ardecore', il primo della banda capitolina, c'era l'omaggio a Roma, alla sua canzone popolare, alla sua anima nera più cupa e solitaria, in 'Chimera' c'è molto di più di Roma: c'è tutta la tradizione e la cultura nostrana che vibra. Una storia fatta di passionalità nei versi, di caparbietà nei sentimenti, di grandezza di ardori e impulsi, fatta di imbrogli e rassegnazione; recuperata grazie alla loro particolare sensibilità musicale e collocata su di un immaginario ponte che collega la vecchia tradizione musical-popolare all'originalità tutta personale di arrangiamenti moderni. Una favola amara e brillante quella degli Ardecore di Giampaolo Felici che, con la band degli Zu, il chitarrista Geoff Farina (leader degli statunitensi Karate) e nuovi elementi aggiunti, ci guida attraverso i tormenti del cuore e dell'anima mettendosi a nudo per la prima volta, anche con composizione originali, utilizzando una delicatezza mista ad un'aggressività che da sola spiega e dipinge l'animo umano riuscendo a raggiungere e a raschiare fino in fondo quel pozzo nero che è il cuore di ogni identità pulsante. Questo trattando con guanti di parole vivissime  non solo i temi dell'amore e degli affetti più cari ma anche quelli più spinosi dell'emarginazione, della tragedia ('Nessuno') e dell'emigrazione ('Miniera','Chimera'); rappresentando alla perfezione, come spiegano loro stessi ''il sogno vano di chi cerca  di raggiungere qualcosa sacrificando tutto ciò che possiede''. E forse è proprio questo il percorso che si prefigge di esplorare l'album e la sua compagnia di suonatori: quello di penetrare a fondo l'esistenza umana fatta di scelte e di rinunce con la grazia degli arrangiamenti, l'intensità delle parole, la bellezza delle musiche, sollevando emozioni ormai dimenticate e sfidando le leggi di questo odierno mondo dal gusto incerto.

Gli stili e i generi così convergono insieme mescolandosi e fondendosi omogeneamente permettendo di spaziare tra vecchi canti tradizionali di fine ottocento ('M'affaccio Alla Finestra'), rivisitati in chiave drammaticamente blues-folk; a 'storie nuove' come 'Parole Controvento', splendida nel suo intreccio di xilofono basso e tromba o come la sarcastica e amarissima 'Buon Natale' dal sapore quasi Waitsiano. Dall'ubriaca cavalcata bandistica di 'Quel Ritmo Americano' accellerata e sporcata per l'occasione a reinterpretazioni, (musicate e riscritte da Felici), di canti della tradizione orale popolare: 'Beatrice' e 'Nessuno', trasformati in veri e propri lamenti di cuori straziati tra viole e violini sconsolati. Dallo struggente melodramma 'Sinnò Me Moro' in versione tango-noir dalle tinte tragicamente scure fino ad approdare a quell'ultimo gioiellino di 'produzione propria' 'Chi sà Perchè?' che come i motivetti delle orchestrine jazz anni '30, come le musichette dei vecchi carillon, come tutto quello non proveresti mai ad immaginare, su quelle note swingate di piano e contrabbasso, ti scivola addosso giocando a farti perdere l'equilibrio annebbiandoti la vista come il vino che sorseggi ora.

Offuscano e rischiarano questi cantastorie romani e lo fanno donandoci atmosfere suggestive d'altri tempi, d'altri luoghi, con arrangiamenti nuovi, parole forti, dirette, bellissime e uno stile unico. Violini, violoncelli, mandolini tromboni, fisarmoniche in una coralità eccezionale che sfiora la perfezione toccandoti dentro come solo la musica d'autore, quella popolare e quella di strada fuse insieme possono.

Il canto degli Ardecore si sente lontano lontano coinvolgere e rapire. I due passanti non lo sanno cos'è stato. Forse un attimo, forse una folata di vento che gli ha portato una 'chimera'. Silenzio però che certe emozioni non vanno disturbate. Ora solo questo canto bruciante che continua ad ardere nell'aria.. 

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