E’ il 2024 e cavolo Arooj, sei diventata cool, alle feste prima non ti cagava nessuno, adesso invece son tutti li a farti le moine. Nel 2021 “Vulture Prince” ti ha cambiato la vita, prima è entrato in una playlist di Obama, poi ha vinto il Grammy, sezione world music. Intanto è appena uscito, “Night Reign”, il tuo nuovo album, abbastanza una figata devo dire e il brano che fai insieme a Moor Mother è davvero holy shit. Ma se cerchi l’attaccapanni per appendere il cappello della tristezza, ecco qui siamo da un’altra parte. Per chi mi hai preso, mi dici, per una cavolo di guru femmina o per una fanciulla angelicata pallida e smunta? Beh, fosse così, saresti davvero fuori strada, a me piace imprecare, bere whisky e comportarmi come una fottuta idiota.
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Esco di casa, entro in macchina e metto Vulture Prince, un attimo e son fermo al semaforo e dal finestrino scappa fuori un intreccio di arpa e chitarra, roba piuttosto ipnotica e piuttosto medio oriente, poi ecco il soffio atmosferico di un filicorno jazz e la voce di Arooj che è una cazzo di magia. Passa qualche secondo e mi affianca una musica di merda sparata abbastanza a palla, vien fuori da una macchina con dentro tre giovinotti sul truce andante, allora sparo a palla pure io, raffinatezza aristocratica (si fa per dire) contro volgo vulgaris (si fa per dire). Ci guardiamo e a me viene da ridere, la diversità dei nostri ascolti in fondo mi pare buffa, lo sguardo dei tre invece è del tipo “ma che è sto schifo, robba de chiesa?”. Poi i tre guardano l’interno della mia macchina stipato di tutta una serie di strampalerie che uso per i miei laboratori teatrali, ci sono orsetti, gomitoli, lampade, giocattoli rotti, riviste d’arte, libri, insomma un cazzo di bazar. Io continuo a sorridere e, merda, dopo un po’ sorridono anche loro, forse è una cosa tipo guarda sto scemo, forse invece non san che pesci prendere.
Semaforo verde e via dalla pazza folla, mi attendono le colline, per me una meta classica. Passo accanto alla curva della Rivazza, prendo Via Goccianello, arrivo sui Tre monti, poi scelgo il punto strategico dove fermare la macchina. Il cielo è pulito, i colori sono squillanti come dopo la pioggia e le nuvole sembrano uno scherzo gentile, un idillio mezzo impressionista e mezzo elettricità nell’aria. Certo, questo sarebbe un disco notturno ovvero quella cosa che nel buio un profumo si sente più forte, ma non fa niente, tanto Arooj canta in un modo che persino un buco si fa luogo dell’anima. E, mentre l’arpa s’accende di puntini luminosi in una specie di sgocciolio ammaliante, mi stendo sull’erba e chiudo gli occhi. “Pensavamo che il vino piovesse nella stagione delle piogge, quando pioveva la pioggia mi spezzava il cuore”, questo almeno dice il traduttore google...
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E’ jazz? E’ folk? E’ lounge atmosferica? E’ roba etnica? E’ fuffa esoterica? E’ robba de chiesa? E che ne so io? Quando sei di fronte a un oggetto alieno le definizioni fanno tutte un po’ ridere. Allora basta dire (uno) che questo disco passa per la porticina stretta e (due) che la porticina stretta arriva proprio lì. La voce è un viandante i cui passi non toccano terra, la musica un etere profumato e il profumo è di quelli che un po’ la testa ti gira, una roba tipo “zenzero, frutta di stagione, prugna, quercia, Pakistan negli anni novanta, adorazione del fuoco, spazio vuoto e Purple Rain di Prince”. Che poi il profumo esiste davvero, Arooj l’ha fatto fare a una sua amica chiedendo di seguire le coordinate che ho messo nel virgolettato. Se volete potete comprarlo su Badcamp o qualcosa del genere
E comunque tutto è cominciato dall’arpa e l’arpa è troppo bella, no? Talmente bella da suonar fastidiosa. Quello che bisogna fare allora è aggiungere oscurità, suonare accordi strani, flirtare con un lieve sfasamento. Uscire dall’ovvio è sempre la prima regola delle ragazze in gamba. Che poi, a dire il vero, il disco non doveva essere così, ma qualcosa di più audace e ballabile, solo che poi è successo che la morte ci ha messo lo zampino e allora Arooj ha buttato gran parte delle percussioni e tirato fuori questa specie di blues etereo, qualsiasi cosa voglia dire.
Intanto, splendore sull’erba, in un appena appena di chitarra e un soffio di synth, la voce sfiora il limite che porta alle lacrime. “Raccogli i pezzi rotti del cuore e respira, in questo luogo desolato non c’è nessuno tranne te”. E non sai se è pace, non sai se è dolore, perché forse è entrambe le cose.
Tranne un brano in inglese il disco è cantato in urdu, una lingua che viene “da un’altra parte della bocca”, sarà per questo che la voce assomiglia a un respiro. Ah, Arooji, ci hai messo proprio tutto qui dentro: il mondo arabo di quando eri bambina, il Pakistan della prima giovinezza, la poesia sufi, la scuola Jazz di Boston, la New York dove sei diventata una mezza testa d’uovo. Un ibrido dove il fuoco entra nello spazio vuoto della notte e il dolore diventa un’energia buona. Insomma una cazzo di meraviglia...Trallalla...
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