Del krautrock oramai si è detto tutto e il contrario di tutto. Da quando il vaso di Pandora fu scoperchiato dal saggio di Julian Cope, “Krautorcksampler” nel '96, tutti si buttarono a scoprire lo scopribile nel folto panorama rock avanguardistico della Germania dei '60 e '70.

Per anni sembrava (e ci cascai anche io) che qualsiasi gruppo fosse imprescindibile e iniziatore (volontario o meno) di qualsivoglia filone musicale odierno, dal dubstep al post rock e via andare.

Fortunatamente, col riflusso dovuto alla sovraesposizione, l'effettivo valore di molti gruppi ha potuto decantare e rimanere a galla, contestualmente ad una minore ansia da ricerca esasperata (al momento tale dinamica si sta spostando sull'area psych etnica e terzomondista, maledetti Animal Collective!).

Casca proprio a fagiolo, per parlare di questo faticoso processo di autoanalisi, il secondo disco dei BEAK, side project di Geoff Barrow, mente dei Portishead. Per chi si fosse perso il precedente atto, il nostro Geoff sfoggiava un esordio compresso fra folate cosmiche alla Tangerine Dream/Klaus Schulze e motorik sound Neu/Can. Favoloso in alcuni punti, un po' prolisso in altri, ma con un difetto fondamentale: la mancanza di "canzoni", in luogo di reclusivi paesaggi interiori.

In questo secondo disco, però, il buon Geoff sembra aver trovato la quadratura del cerchio, focalizzando le ritmiche e le atmosfere in canzoni che, seppur spesso generose nel minutaggio, sono ben bilanciate fra devozionismo alle fonti e genuina carica psichedelica.
Dall'intro con organo distorto di “Gaol” passando per un distillato di pura Dusseldorf circa 1972, fra Harmonia, Neu e Can (“Yatton” e “Spinning Top”), momenti più pacati, fra il cosmico (“Ladies' Mile”) e il cantautoriale (“Deserters”) fino alla virata rumorista finale di “Kidney”, fra i brani che si scostano maggiormente dal canovaccio teutonico del disco.

Chapeau d'obbligo per “Wulfstan II”, dall'appeal quasi Hawkwind, condotta per tutti i 7 minuti da un ossessivo riff di chitarra, doppiato da una sei corde velvetiana al centro, ma sempre sul filo di una tensione palpabile e minacciosa sino al climax finale.

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