I giudizi su questo ritorno della band scozzese che per anni ha illuminato le giornate adolescenziali di una generazione cresciuta con le note e i racconti di "If You're Feeling Sinister" e "The Boy With An Arab Strap" si rincorrono qua e là per la rete e per i canali d'informazione musicale senza trovare un bilanciamento, un parere che metta tutti d'accordo. E io purtroppo non faccio eccezione.

L'attesa per questo "The Life Pursuit" è stata placata dai fugaci ascolti in rete da un mese a questa parte, che lasciavano presagire una mossa più decisa verso il pop radiofonico (o almeno verso il pop per come lo intendono i Belle & Sebastian) con abbondante uso di tastiere e la chitarra acustica relegata in secondo piano. La prima cosa che mi è venuta in mente ascoltando questo nuovo album è che la conoscenza enciclopedica della storia del rock da parte dei singoli musicisti è venuta finalmente fuori e questo si sente nella molteplicità di riferimenti (un arpeggio, un battito, un'invenzione sonora) a generi musicali che la band non aveva minimamente fatto intuire di potersi ritenere in parentela: ed è questo forse l'aspetto che ha lasciato molti completamente spiazzati, me compreso (ma fino a un certo punto).

Sulle prime, il singolo "Funny Little Frog" (con quel pianoforte che ricorda molto l'intro di "Death On Two Legs" dei Queen) non mi piaceva, e diversi pezzi li trovavo semplicemente disgustosi (Song For Sunshine è una delle canzoni più orrende che abbia mai ascoltato)... però però, dopo qualche ascolto più attento e meno vincolato da beceri pregiudizi, ho rivalutato questo nuovo disco, sicuramente migliore di "Dear Catastrophe Waitress". È chiaro che i Belle & Sebastian, dopo avere dettato legge in ambito indie per anni, volessero ammiccare a un pubblico più vasto, e questo non è certo un reato se è abbinato a un mantenimento di livello alto e di una produzione valida (e non è un traguardo impossibile nemmeno in campo mainstream, vedi Gorillaz)... se era questo l'obiettivo, si può dire perfettamente centrato appunto con "Funny Little Frog" (che pur non convincendomi ancora ne riconosco il potenziale catchy), "The Blues Are Still Blue" (bel riffone à la T. Rex e cadenza looureediana), "To Be Myself Completely" (purissimo northern soul, il brano migliore), e le due canzoni che si avvicinano maggiormente al suono del passato, "Another Sunny Day" e "Dress Up In You"... queste canzoni che ho citato meritano ampiamente di stare nel "best of" del loro repertorio. Il problema ora è: e le altre? Mai sentita in un disco una sequela più schizofrenica di alti e bassi: pezzi che risentiresti per tutta la vita alternati ad altri che skippi di continuo... forse si salva il sofisticato funk caraibico un pò smithsiano di "For The Price Of A Cup Of Tea" ma le altre sembrano francamente delle b-sides, per quanto posso sottilmente apprezzare la ricerca (da parte di chi? chi sarà il "colpevole"?) di allusioni alla bubblegum music dei primi anni '70.

Alla fine propendo per l'ipotesi che la band scozzese volesse proprio provocare nell'ascoltatore l'effetto che ho sentito anch'io: ancora non ho capito se questo sia un disco geniale o un brusco passo falso. Probabilmente sarà il disco dei Belle & Sebastian che venderà di più, ma, per una volta, non sono così sicuro che la virtù stia nel mezzo.

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