La polvere sulla mensola illuminata da un timido raggio di sole galleggia nell'aria fredda della sera. E' novembre ormai, il mondo attorno a noi si accinge a morire, in un lento e inesorabile letargo.

Nella stanza colorata d'autunno riecheggia la calda e morbida voce di Ben Howard, nuovo talento d'oltremanica. Un ragazzo che solo al secondo album in studio dimostra maturità e bravura crescenti. Lo scorso anno pubblicò un EP dai suoni densi e torbidi che stupì (la superba traccia "Oats In The Water" venne usata anche in un episodio della serie tv The Walking Dead). Stessi suoni che sono l'anima di questo suo nuovo lavoro "I Forget Where We Were".

Tracce immerse in un buio dal quale però si riesce sempre a scorgere una luce. Tracce malinconiche che avvolgono l'ascoltatore come una pesante coperta di lana. "Small Things" posta all'inizio spiazza. Emoziona da subito, la vibrante chitarra elettrica e la batteria distante fanno di questo brano uno dei migliori dell'intero album. Malinconia, oscurità, tristezza. Ma c'è speranza laggiù in fondo, c'è la luce nella coda quasi post-rock della canzone.

Se in "Rivers In Your Mouth" e nella title-track si toccano sonorità più allegre e frizzanti, più "radio-friendly" non significa che Ben Howard voglia adagiarsi in musica sempliciotta per scalare le classifiche inglesi. Al contrario, è proprio con questi brani dal suono più "pop" che si sente la differenza tra la sua musica e quella di mille altri artisti. Ne escono canzoni mai banali, con un'anima raffinata e profonda. L'anima che Ben Howard ha messo in tutti i dieci brani di questo nuovo album.

C'è spazio anche per il classico folk d'autore: il suono rotondo della chitarra acustica, le dita che scorrono sulle corde. "In Dreams" odora di caldarroste e sprigiona il calore del fuoco nel caminetto. La morbidezza di "Evergreen" penetra sottopelle e crea l'atmosfera giusta per una notte fredda e stellata, con il calore del proprio partner accanto a noi che ci riappacifica con il mondo.

I brani più lunghi sono meravigliose pennellate di colori caldi. Rosso, arancione e giallo. I sette minuti di "Time Is Dancing" hanno la capacità di tirarci su di morale, di farci sentire meno soli. In questo grandioso pezzo il richiamo ai The National è forte, ma non si sfocia mai nell'imitazione palese. Ben Howard va oltre, infarcisce con la sua peculiare voce e con il suo personale stile quella che è solo una citazione dei suoi beniamini, degli artisti che ascolta quotidianamente. "End Of The Affair" è uno spettacolare brano di quasi otto minuti in cui Ben dà l'anima e il corpo. Le sue mani che carezzano le sei corde. La sua voce vibrante che scorre diretta al cuore. E quella seconda parte da brividi, in cui un delicatissimo tappeto post-rock cresce fino a toccare vette emotive altissime, ci ricorda i Daughter, una delle più gradite sorprese musicali dello scorso anno.

Il nome di Ben Howard era stato forse inserito frettolosamente nella lunga lista di cantautori e band "che fanno tutti la stessa cosa", ma con questo suo nuovo lavoro sorprende ed esce definitivamente dal guscio. Si stacca dalla massa, creando un disco di rara profondità e complessità. Folk e pop, ma anche molti altri piccoli guizzi di immensa ispirazione che portano questo album ad un livello inaspettato.

Anche quest'autunno avrà la sua perfetta colonna sonora, e noi avremo una calda coperta in cui riscaldarci il cuore.

Carico i commenti... con calma