L'analisi de "Il Tempo Della Semina" deve obbligatoriamente partire sapendo di sviluppare l'esame di un disco inedito per gli anni '70 e rispolverato affannosamente, con opera di autentica archeologia musicale dall'unica musicassetta master superstite all'inesorabile trascorrere del tempo e masterizzato infine nel 1992. Probabilmente il disco non sarebbe mai stato pubblicato così come ora è possibile gustarlo, post-produzioni, missaggi conclusivi o persino pezzi andati definitivamente perduti avrebbero lievemente modificato la track-list sapientemente riportata alla luce dalla Mellow Records. Ma è giusto attenersi agli strumenti in nostro possesso, che non sono affatto pochi. Il chiaro presupposto che balza agli occhi istantaneamente all'ascolto è la chiarissima maturazione artistica del Biglietto. Solo dopo qualche mese, il lavoro autorale è meglio amalgamato del precedente e concretamente frutto di tutte le menti dei componenti dell'unione. Non è più solo Claudio Canali (che occupa comunque il ruolo di leader incontrastato) a gettare le basi del nuovo progetto discografico. Già dai testi la comunione dello stesso con Giuseppe Cossa rende i contenuti meno critici e di protesta, portandoli su analisi più storiche e livellate.
Le travolgenti accelerazioni hard, condite dalle straordinarie e dense arie elettroniche sono ancora il marchio di fabbrica inconfondibile, ma si è di fronte ad uno stile più elaborato e meno spezzettato. Sono meglio combinati e collegati fra loro i frequenti e repentini cambi di tempo a fronte di nuove suite sonore molto ordinate ed equilibrate. Una profonda e precoce maturazione a conferma delle inequivocabili doti artistiche d'esordio a cui però non sono seguite ulteriori prove storiche, le quali avrebbero meglio caratterizzato la figura del Biglietto Per L'Inferno catalizzandola facilmente su eremi ancor più fulgidi. I titoli ripresi in questa opera distinguibile come "quasi postuma" sono sette. La scena è aperta dalla title-track "Il Tempo Della Semina", il passo più convincente del disco. In ben dieci minuti la band rappresenta l'intero repertorio del progressive rock. Circa tre minuti di introduzione strumentale dark, davvero straordinari, dove la maestria di "Baffo" Banfi ai dispositivi elettronici corroborati dalle immancabili basi di chitarra hard dell'ottimo Mainetti portano Claudio Canali ad aprire al canto, con voce rude ed implacabile, un testo dai contenuti introspettivi ma ineffabili. Ma è la disposizione degli elementi sonori, come detto, ad emergere su tutto. Basso e batteria davvero roboanti; moog ed organo a primeggiare creando un'atmosfera alternativamente avvincente e cerebrale. Gli ultimi quattro minuti sono davvero leggendari. L'assolo di Canali al flauto scagliato, con il procedere del pezzo, fino a livelli spaventosi è rabbioso ed accompagnato, nella sua parte più incisiva, dal pianoforte che a braccetto porta alla conclusione.
In seguito, la scherzosa e breve "Mente Sola-Mente" è resa leggermente cupa dalle cosmiche tastiere di Banfi abile ad condurre Canali che canta, o meglio sussurra, un breve vocalizzo. Il brano nacque quasi per scherzo. Negli studi era presente uno scatolone pieno di strumentini ritmici, probabilmente utilizzati tempo addietro per l'effettistica dei cartoni animati. Il gruppo iniziò a suonarli alla rinfusa mentre "Pilly" Cossa al pianoforte stendeva la melodia. Canali ci mise le parole ed il gioco era fatto. Con "Vivi Lotta Pensa" si ritorna su argomenti di protesta al Sistema, soggetto molto in voga nei '70. Nei progetti sarebbe dovuto essere il singolo portante del disco. La struttura in effetti e meno elaborata, più orecchiabile e lascia meno spazio a fughe turbinose ed incontrollabili, restando assai nei canoni di un pezzo rock elaborato di più semplice apprendimento. Interessante, oltre alla perpetua esibizione vocale del ruggente Canali, la pulita e dominante stesura pianoforte-tastiere e la conclusione più dura indicata dalle chitarre elettriche. Il brano, l'unico dell'intera produzione del Biglietto non parte dall'ideologia esclusiva di Canali, ma dal pensiero di Eugenio Finardi, occupatosi della produzione del LP. In effetti i contenuti politici rispecchiano molto il repertorio del cantautore milanese, non ricevendo d'altra parte il pieno consenso di Banfi e compagni. Proprio Finardi esortò il gruppo a cercare insistentemente l'idea per il pezzo creando non poche difficoltà.
Ben altro discorso con "L'Arte Sublime Di Un Giusto Regnare" dalle tematiche medioevali caratterizzate dalla speme insita nella mente di un grande regnante del tempo. In questo caso l'istrione Canali dona con la sua voce decisione e chiarezza alla scena. Il telaio musicale torna ad essere vigoroso e deciso, l'uso del flauto è molto accentuato ma ben calibrato sul resto dei suoni acuti, quali il pianoforte (strano ma straordinario il suono di un misterioso piano a puntine) e la tastiere. Ma è in questo brano che si intuisce la fondamentale figura che basso e batteria svolgono all'interno della produzione di Banfi e compagni. Un sostegno inconfondibile che, a tratti, tenta anche di prendere il sopravvento su altri strumenti, ben più "solisti" in genere. Di rilievo la parentesi più soft di metà-pezzo, dove Canali recita l'accusa perentoria del re al popolo reo di procreare in numero poco responsabile alle capacità.
Con "Solo Ma Vivo" l'atmosfera si riconduce un poco alla già citata "Vivi Lotta Pensa". Uno schema più collaudato e ben coagulato, ma che lascia poco spazio alle ispirazioni strumentali. Superbo ancora una volta Canali al canto. Memorabili gli assolo all'elettrica di Mainetti, motorizzati dai lavori spaziali di "Baffo" Banfi. Il testo si riconduce a "L'Amico Suicida" compresa nell'album d'esordio dal momento che è la rievocazione della morte del loro amico a riecheggiare fra le righe.
Il disco si chiude con la splendida "La Canzone Del Padre" dove viene praticamente esposta la spensierata e sofferta esistenza del cantante, i disappunti della sua famiglia per una strada, quella del musicista, che non porta da nessuna parte e dai ritornelli riportanti tutta la sua amarezza. La linea di costruzione de "La Canzone Del Padre" è suddivisa in due ceppi ben distinti, quasi due motivi diversi, che si ripetono per più volte per poco meno di dieci minuti totali. Riprendono gli innumerevoli cambi di stile e di ritmo. "Baffo" Banfi e Cossa si ritagliano, quasi totalmente, la parte musicale più rilevante. La loro foresta di tastiere, organi, moog ed aggeggi vari svolazzano in ispirazioni ed estri di notevole realizzazione nell'intreccio di chitarra e flauto.
Nella versione in vinile è compreso anche "Senza Titolo" una breve versione strumentale (la più interessante) leggermente modificata di una delle radici comprese in "La Canzone Del Padre".
Ancora un grande disco. L'unica pecca emersa, a discapito del provvidenziale recupero di questo importante atto storico del progressive italiano, è la qualità sonora delle incisioni, ma è sicuro che al momento della post-pubblicazione non si potesse fare di meglio. La copertina è ancora una volta creata dallo straordinario Cesare Monti che escogita di effettuare un'istantanea della band con una falce in mano. Un curioso aneddoto lega proprio questa vicenda tra le pagine storiche della band: impegnati a portare la falce a Milano per la foto, legandola sul tetto della "Mini" di Mainetti, furono fermati dalla Stradale dal momento che l'arnese, fissato in modo poco rigido, si alzò verticalmente.
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Altre recensioni
Di Testaverde
Il tempo della semina dà una pista tecnica al lavoro che lo ha preceduto.
La durissima, autobiografica 'Canzone del padre', autentica vetta dell’opera assieme alla title-track di apertura.
Di GATTINATOR
Dopo più di 30 anni la qualità del suono è impeccabile.
La Canzone del Padre lunga 10 minuti è molto variegata e propulsiva con una chitarra acustica da sogno e il flauto che non ha niente a che invidiare ai mitici Jethro Tull.