Nell’inconscia consapevolezza di non poter bissare, quanto ad ispirazione, l’inarrivabile concept omonimo dell’anno prima, il Biglietto Per L’Inferno scelse, per la sua seconda fatica, la strada del rigore stilistico.
Operazione, da questo punto di vista, perfettamente riuscita, perché Il tempo della semina dà una pista tecnica al lavoro che lo ha preceduto. Ma nel progressive, più che in altri generi, è altissimo il rischio che l’accuratezza formale sfoci nell’aridità, ed è quanto accade, per larghi tratti, a questo disco: suonato, arrangiato (la versione di riferimento è quella uscita nel ’92, unica reperibile) e cantato egregiamente, ha il difetto di mancare quasi completamente della desolazione spiazzante dell’album d’esordio. Quasi, perché in alcuni punti riemerge il Biglietto che piace a noi, quello della Confessione, per intenderci : a livello di forza testuale e messaggio di protesta allegato, Claudio Canali – cantante e paroliere – ci va giù pesante nel pezzo che chiude il disco, la durissima, autobiografica "Canzone del padre", autentica vetta dell’opera assieme alla title-track di apertura.
Anche in questo album, infatti, il Biglietto non perde l’occasione di lanciare strali avvelenati contro la morale comune, ma la vis polemica è più indiretta e meno sanguigna, quasi soffusa: le parole arrivano sempre e comunque dopo la musica, sovrana indiscussa dell’insieme.
Gran disco, comunque, e strepitoso passo d’addio di una delle band più sottovalutate dell’intero panorama prog peninsulare solo una lieve carenza di spontaneità non lo fa approdare alle vette del 5/5. Utilissimo comunque a far capire, a chi era adolescente nei ’70, che patrimonio ha lasciato sfuggire il suo orecchio, distratto dai suoni rockeggianti provenienti da oltreoceano.
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Altre recensioni
Di Precog
Il chiaro presupposto che balza agli occhi istantaneamente all'ascolto è la chiarissima maturazione artistica del Biglietto.
Gli ultimi quattro minuti sono davvero leggendari. L'assolo di Canali al flauto scagliato è rabbioso ed accompagnato dal pianoforte che porta alla conclusione.
Di GATTINATOR
Dopo più di 30 anni la qualità del suono è impeccabile.
La Canzone del Padre lunga 10 minuti è molto variegata e propulsiva con una chitarra acustica da sogno e il flauto che non ha niente a che invidiare ai mitici Jethro Tull.