L'esordio invisibile.
Cold Spring Harbor è il lavoro primario di Billy Joel, pianista dotato e fortemente influenzato dalla musica classica, che entra silenziosamente nella scena pop/rock americana dei primi anni '70, proponendo sin dagl'inizi un piano-rock d'autore ammiccante alle melodie pop.
Silenziosamente, già, ma avrà modo di essere affiancato al più osannato ed eccentrico inglese Elton John.
Silenziosamente perché lo fa cominciando con questo preambolo assolutamente sottovalutato e che attraversa la sua epoca - e, ahimè, non solo - passando quasi del tutto inosservato, specie rispetto ai suoi diretti successori. Fu una delusione in termini di vendite, tanto che decise di tornare a suonare nei piano bar, dove aveva già fatto gavetta, passando sorprendentemente per il soul degl'Hassels e un duo hard-psychedelic.
"Cold Spring Harbor" è un maliconico disco di piano-rock.
E' davvero maliconico. Lo si capisce anche dalle note introduttive di "She's Got a Way", ballata romantica in cui Joel dedica una sorta di inno alla donna che ama e che apre con classe un disco suonato quasi interamente, e magistralmente, al piano, anche nei saltuari momenti più ritmati.
"You Can Make Me Free" è già uno di questi. Pur mantenendo un'impostazione iniziale simile alla precedente ballata, ci ritroviamo rapidamente in un brano, movimentato e dal ritornello orecchiabile, che, in un crescendo, porta vocalmente un incontrollabile Joel ad un finale scatenato. Il terzo brano è il sarcastico "Everybody Loves You Now", dove il piano travolge anche noi, cominciamo a battere il piede a tempo e veniamo trasportati repentinamente al pezzo successivo.
"Why Judy Why" è come un pianto che, paradossalmente, ci culla su una piccola perla rappresentata dalla soave melodia che caratterizza questo capitolo del disco, tra l'altro l'unico in cui sentiremo la mancanza del piano.
Ma non passa molto e torna nuovamente a farla da padrone, offrendoci una cascata di note per accompagnare "Falling of the Rain": mai arrangiamento più azzeccato, dove le note sembrano palesemente citare la caduta della pioggia, mentre Joel ora sembra un cantastorie e sforna un'altra melodia calzante per una nostalgica quasi-filastrocca.
Seguono scorrevolmente "Turn Around" e "You Look So Good to Me" e giungiamo ad un altro brano di punta.
Scaturita da un biglietto d'addio risalente ad un tentato suicidio di Joel (tentativo piuttosto bizzarro tra l'altro), "Tomorrow Is Today", che include un intermezzo rasente il gospel, è una penetrante denuncia della ripetitività della vita e dell'abbandono, o forse della monotonia dettata dall'abbandono. Insomma, è la seconda grande ballata piano-voce del disco. Segue a ruota "Nocturne", toccante brano strumentale, naturalmente al piano, di stampo classico. Quindi si conclude la triade delle ballate piano-voce con la finale "Got to Begin Again". Ballata che, a mio avviso, conferma l'alto livello del disco e chiude nel migliore dei modi uno splendido debutto.
Musicalmente è davvero piacevole. Se proprio vogliamo, è il più acerbo (musicalmente), quindi caratterizzato da un retrogusto acre (musicalmente) rispetto agli standard a cui Joel ha abituato (non per molto) poi il suo pubblico. Ma non mi risultava che l'acredine (musicale) fosse l'elemento da evitare a tutti i costi, e, questo disco, dopotutto, non se lo sono proprio cagato. A me poi piacciono i limoni.
Consiglio vivamente almeno un doppio ascolto di questo emozionante ottimo esordio, a chiunque. Forse la critica ha avuto influenze negative su questo disco, anche a distanza di decennni. Oppure sono pazzo.
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