Chi di voi non ha mai assistito - dico al cinema o in TV, i più fortunati anche dal vivo – ad una cerimonia in una chiesa afroamericana cristiano-metodista? Penso nessuno! E penso che, una volta viste quelle immagini ed ascoltati quei canti, il tutto vi si sia fissato indelebilmente nella testa, non fosse altro per la vitalità che comunicano e per quell’atmosfera così lontana dalle cerimonie religiose di noi cristiani cattolici italiani che, al massimo, ci rallegriamo grazie alle assonanze tra “… Abramo non partire …” e “… born, born to be alive”!
Invece i neri sì che ci danno dentro con organo e canti Spirituals o, come da tempo codificato, con il Gospel. Che poi, Gospel in inglese significa Vangelo, ma oramai ci si riferisce al Gospel per racchiudere una serie di generi che nascono tutti dalla stessa radice afro-americana. Comunque musica sacra, da contrapporre a quella profana, come ad esempio la musica Soul.
Che poi, la “musica dell'anima” nasce nei primi ’60 proprio dalla fusione delle sonorità del Gospel e del Jazz con i modi della canzone Pop grazie alle opere di musicisti neri, tra i quali Aretha Franklin, Marvin Gaye, Otis Redding, Sam Cooke, Wilson Pickett e Stevie Wonder; tutta gente che si è formata tra i banchi delle chiese cantando le lodi al Signore e che si ritrova, ora, a declamare l’amore sensuale in mirabili capolavori del neonato genere definendone i canoni.
E, anche se oggi può sembrare inammissibile, tale dicotomia tra sacro e profano ha comportato seri problemi a molti degli artisti di quegli irripetibili anni a cavallo tra ’60 e ‘70.
Uno che ne ha pagato il prezzo è stato sicuramente William Everett Preston, detto Billy, venuto al mondo il 2 settembre 1946 a Houston e che a soli tre anni già poneva i polpastrelli unti dal Signore sui tasti bianco/neri dell’organo della storica Victory Baptist Church a South Central Los Angeles dove, nel frattempo, si era trasferita la madre, mentre del padre si erano già perse le tracce.
Nel 1957, grazie alle sue doti musicali fuori dal comune, recitò la parte del giovane W.C. Handy (musicista Blues e Jazz statunitense noto come "Il padre del blues") nel film “St. Louis Blues” divenendo così uno dei primi “bambini prodigio” afroamericani del cinema hollywoodiano. Nello stesso anno apparve nel programma televisivo “The Nat King Cole Show”, dove cantò e suonò l'organo accanto a Cole. Bimbo Billy, inoltre, accompagnava i devotissimi del Gospel Mahalia Jackson e il reverendo James Cleveland durante le loro esibizioni in chiesa.
A 16 anni Little Richard lo invitò a unirsi alla sua band per un tour in Inghilterra e Germania (dove conobbe i Beatles alle prime armi) e nel 1963 era presente come organista nell'album di Sam Cooke “Night Beat”. Tre anni dopo incontrò Ray Charles, che lo assunse per suonare nel suo successo “Let's Go Get Stoned” e nel 1969 andò con The Genius a Londra, dove si ricollegò ai Fab Four sette anni dopo il loro primo incontro. E da qui in poi, la sua vita cambiò decisamente ponendo le basi ad una carriera che, tra alti e bassi, verrà suggellata con due Grammy e l’ammissione, nel 2021, alla Rock and Roll Hall Fame.
È innegabile, però, che tutti lo ricordiamo soprattutto per quello che ha fatto per i Beatles durante le session poi riversate in “Abbey Road” e “Let It Be” e per i Rolling Stones, ai quali ha prestato le sue magiche dita in molte delle loro registrazioni più riuscite, tra cui “Sticky Fingers” ed “Exile on Main Street.
Eppure, anche se è stato definito (l’ennesimo) quinto Beatle (sul singolo di “Get Back” si legge: “The Beatles with Billy Preston” e, questa, è l'unica canzone mai accreditata a un non-Beatle), le notizie sulla persona Billy sono scarne. Tanto il personaggio era estroverso sul palco, con le sue parrucche, un sorriso a 32 denti sempre stampato in faccia e le sue danze Gospel con le quali interrompeva le mirabili esibizioni all'organo Hammond B-3 durante i live, tanto era schivo e riservato sulle sue vicende private a causa della sua malvissuta diversità.
La gioiosa immagine che Preston dava di sé nell’ambiente musicale è, infatti, in contrasto con il suo vissuto profondamente travagliato.
Cristiano devoto, Preston ha avuto difficoltà a venire a patti con la propria omosessualità, prima addirittura negata e poi mai apertamente dichiarata. Inoltre, da bambino, fu vittima di abusi sessuali e da adulto fu accusato, a sua volta, di violenza sessuale su un minore, anche se l'accusa fu alla fine archiviata. La storia narra che nei primi anni '70 Preston si fidanzò con la modella e attrice Kathy Silva, un pomeriggio tornò a casa e trovò Silva a letto con il suo caro amico Sly Stone, ponendo fine sia al fidanzamento che all'amicizia. Secondo le persone vicine a Preston, la rottura traumatica con Silva non fece che aumentare i suoi problemi di identità sessuale. Con la fama e il successo arrivò anche la dipendenza da alcool e cocaina, che per sua stessa ammissione divenne un'abitudine da 1.000 dollari al giorno!
Ma in quegli anni, il travaglio interiore era anestetizzato dalla fama. Erano gli anni in cui Billy poteva permettersi di firmare un contratto discografico con la Apple Records per la quale registrò due album di moderato successo: “That's the Way God Planned It” del 1969 e “Encouraging Words” del 1970: non più album strumentali che esaltavano le sue doti di tastierista ma compiute proposte musicali di un artista completo.
Dopo la parentesi con la Apple nel 1971 firmò con la A&M, per la quale pubblicò “I Wrote a Simple Song”, l'album che segnò la fine del periodo della connessione con il “mondo Beatles”: tutti gli ospiti favolosi hanno fatto le valigie e sono tornati a casa, anche se Harrison resta ancora per qualche svolazzo di chitarra e dobro, e Quincy Jones è responsabile degli arrangiamenti di archi e fiati (motivo per cui gli archi non suonano mai fastidiosi). Il famoso turnista della Motown David T. Walker è responsabile della maggior parte del lavoro alla chitarra ma, il più delle volte, rimane sullo sfondo a favore del groove collettivo che segna l’intero lavoro.
Le sessioni furono registrate da Tommy Vicari, un giovane ingegnere pieno di inventiva e all’avanguardia. Per quanto, all’epoca, era più la ricerca del “suono” con soluzioni dettate dalla fantasia in studio di registrazione, come ad esempio attaccare un portafoglio al rullante come raccontato dal batterista Manuel Kellough, che la tecnologia a donare a questo e ad altri album del periodo quel quid in più.
Non stiamo parlando di un capolavoro, ma la perla “Outa-Space” ne fa l’opera che desidero aggiungere alla mia collezione di vinili AAA. Inizialmente pubblicata come lato B della titletrack, è diventata uno dei classici di Billy: un esperimento audace di Funky, con tanto di wah-wah e un groove sospeso tra il graffiante e il traballante con il resto della band che improvvisa intorno al fraseggio di Preston, al contempo semplice e contagioso. Detto questo, anche se il lavoro al clavinet rende “Outa-Space” l'evento più memorabile dell'album, la forza complessiva del groove non è inferiore in brani come “The Bus” o “Should've Known Better”.
Ma, se da un lato Billy cerca una connessione con il pubblico del momento a colpi di funk rock dall’altro non dimentica di essere un “portavoce di Dio” come in “God Is Great” e altri brani di gusto Gospel e, anche se a parte “Outa-Space”, non ci sono momenti particolarmente sorprendenti l’insieme, condito anche con Soul e Pop ma mai sdolcinato, scorre via bene ad eccezione dell'ultima traccia: uno scoppio lacrimoso di patriottismo (“My Country 'Tis Of Thee”) che non coglie nel segno.
Nel corso degli anni successivi Preston è stato un ricercatissimo turnista per una vasta gamma di artisti e generi musicali. La sua lunga discografia include registrazioni con Joni Mitchell, Aretha Franklin, George Harrison, Barbara Streisand, Elton John, Peter Frampton e Neil Diamond
Sul finire dei ‘70 il suo stile funk leggero, però, è passato di moda e il successo della disco music lo ha accompagnato alla porta: niente più sessioni con artisti di spicco, niente più live incendiari, niente più contratti discografici, niente di niente. Una volta fuori dal giro e con gli effetti, anche economici, del declino Preston ha tolto parrucche e maschera e ha mostrato al mondo il suo lato oscuro. Si è ritrovato al verde e schiavo delle dipendenze arrivando a chiedere di essere pagato in cocaina per una session in studio. A chiudere il cerchio, durante una sua detenzione per aver violato la libertà vigilata (che stava scontando per possesso di cocaina), diresse il coro e i servizi religiosi della prigione, ed è lì che, finalmente superò le sue dipendenze. Giusto il tempo per aggiungere al proprio “carniere” di collaborazioni quelle con i Dream Theater, Red Hot Chili Peppers, Whitney Houston, Tool e J.J. Cale. E in Italia Jovanotti in “Giovani Jovanotti” del 1990, quello di “Ciao Mamma”. Ma i reni erano oramai compromessi e dopo un trapianto nel 2002, la sua salute continuò a peggiorare e il 21 novembre 2005 entrò in coma. Il decesso avvenne il 6 giugno 2006, a Scottsdale, Arizona.
Billy Preston - vocals, piano, Hammond organ, keyboards
David T. Walker - electric guitar
George Harrison - guitar, Dobro
Manuel Kellough - drums
King Errisson - congas, percussion
Rocky Peoples - tenor saxophone
Carlos Garnette - trumpet
Quincy Jones - string and horn arrangements
Clydie King, Douglas Gibbs, Duane Rogers, Eugene Bryant, Jesse Kirkland, Merry Clayton, Myrna Matthews, Patrice Holloway, Sherrell Atwood, Venetta Fields - backing vocals
Technical
Roland Young - art direction
Jim McCrary - photography
Tommy Vicari – engineer
Side one
"Should Have Known Better" – 2:28
"I Wrote a Simple Song" – 3:28
"John Henry" – 3:15
"Without a Song" – 4:57
"The Bus" – 3:32
Side two
"Outa-Space" – 4:08
"The Looner Tune" – 2:47
"You Done Got Older" – 3:08
"Swing Down Chariot" – 4:13
"God Is Great" – 3:32
"My Country, 'Tis of Thee" – 4:27
Chart US 1972: 32
Chart US R&B 1972: 9
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