Il terzo album è una sfida per tutti: uno scoglio da oltrepassare, l’ultimo ostacolo il cui superamento permette a un emergente di godere dello status di artista consolidato, ma anche quello che, se non affrontato con la dovuta preparazione, può condannare a una più che probabile parabola discendente sia in termini artistici, sia di riscontro di pubblico. Una bella responsabilità, dunque. Figurarsi quando non si hanno neanche vent’anni. Perché sì, Birdy è arrivata a questo punto della sua carriera a un’età in cui molti suoi colleghi o aspiranti tali devono ancora metter piede per la prima volta su un palco importante e iniziare a lavorare nell’ambito della discografia seria.

Tuttavia a sorprendere non è tanto il fattore anagrafico (Jasmine van den Bogaerde non è di certo la prima ad aver pubblicato già un paio di dischi da così giovane), quanto il modo in cui la fatidica prova è stata superata: se “Fire Within” era piacevole, ma ancora troppo acerbo, “Beautiful Lies” segna più che discreti passi avanti non solo in termini compositivi e interpretativi, ma soprattutto sonori. Se infatti il disco precedente risultava eccessivamente dispersivo a livello di sound, l’ultima fatica di Birdy suona molto più coesa e organica e la sua scrittura, semplice, ma diretta e non banale, può ora giovare di una rinnovata veste sonora, peraltro tutt’altro che facile o modaiola. Se escludiamo i due singoli di lancio “Keeping Your Head Up” e “Wild Horses”, troppo à la Florence + The Machine, senza oltretutto una presenza vocale imponente come quella della Welch, la tracklist di “Beautiful Lies” spazia infatti sapientemente tra delicate ballate piano-voce, come “Lost It All” e la splendida title-track, e pezzi come “Growing Pains” e “Shadow”, dalle percussioni e atmosfere orientaleggianti. Non per niente la maggior parte dell’album è stata scritta in un lampo d’ispirazione scaturito dalla lettura di “Memorie di una Geisha”, influenza, questa, che si sente parecchio, con la voce delicata, ma a suo modo importante di Birdy che, oltre a mostrare una crescita esponenziale a livello tecnico, si incastra perfettamente in ricami sonori pregni di atmosfere oniriche e sapori orientali che non possono non ricordare, a tratti, la Kate Bush di “The Kick Inside” e i colori di “Fur and Gold” della più giovane Bat for Lashes.

Certo, va detto anche che ci sono pezzi meno riusciti di altri (e che oltretutto sono stati inseriti nell’edizione standard dell’album a discapito di tracce della deluxe molto più meritevoli) e che alla fine dei conti il disco è ben lontano dallo status di capolavoro come può esserlo il sopracitato “The Kick Inside”, ma in un contesto pop piatto e monotono come quello attuale, “Beautiful Lies” spicca per il suo essere onesto e suonare al di fuori del tempo e delle mode, plasmato secondo il volere della sua autrice, che evidentemente guarda ben più lontano delle classifiche e dei passaggi in radio, nonostante la giovane età. Proprio per questo le aspettative per il prossimo album saranno tutt'altro che basse, ma se le premesse sono di questo livello sarà molto difficile che verranno deluse.

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