Nei primi anni Novanta i Black Sabbath dovevano apparire a molti come dei pesci fuori d'acqua, delle vecchie cariatidi che non volevano saperne di mollare anche se, nel frattempo, la scena intorno a loro era drasticamente cambiata.

Già considerati i papà dell'heavy metal venticinque anni fa, Tony Iommi e soci erano miracolosamente usciti vivi dagli anni Ottanta. Se Ozzy, dopo il suo licenziamento nel '79, aveva messo in piedi una carriera solista da tutto esaurito, il chitarrista aveva avuto più di un grattacapo: quelli che si erano ritrovati in mano il microfono dei Sabs non si contavano più e batteristi e bassisti molto spesso erano ormai semplici turnisti. Solo nel 1987 dalle parti di Birmingham inizia a tirare una ventata di aria fresca, con l'arrivo in pianta stabile del giovane Tony Martin, chiamato a dover riregistrare in fretta e furia le porti vocali di “The Eternal Idol”, LP tanto notevole quanto sconosciuto ai più. Fatto salire a bordo anche il rodato Cozy Powell, il gruppo sembra tornare a godere di una certa popolarità con “Headless Cross”, lontano dai fasti del passato ma comunque godibile. Evidentemente l'unico a non essere convinto di come stiano andando le cose è proprio Iommi, che dopo l'ottimo “Tyr” del '90 decide di imbarcarsi in una reunion di cartapesta con Ronnie Dio, che frutta il discreto “Dehumanizer” e un'infinità di liti e discussioni. I palasport erano tornati a riempirsi, il conto in banca pure ma il cantante di “Heaven And Hell” non era certo l'ultimo dei carneadi e il suo ego era quello che era. Salutato per sempre (come no!) il folletto di New York, non resta che richiamare alla base il fidato Martin, che molto pazientemente accetta di riprendere il suo posto dopo essere stato mandato via senza troppe cerimonie.

I Black Sabbath versione 1994 si ripresentano quindi con una formazione che unisce vecchio e nuovo e che, sulla carta, è una delle migliori nella storia del gruppo. Se Martin rappresenta il nuovo inizio di fine anni Ottanta, Geezer Butler, già rientrato un paio di anni prima, incarna lo spirito dei tempi d'oro. Ennesimo cambio dietro le pelli, con il sediolino della batteria stavolta occupato da Bobby Rondinelli, picchiatore di classe con un curriculum di spessore, Rainbow su tutti, mentre, crediti alla mano, sembra che per la prima volta sia stata ufficializzata la posizione di Geoff Nicholls, che appare qui essere un membro del gruppo a tutti gli effetti e non più un mero turnista. Chi imbracci la sei corde è inutile ricordarlo.

“Cross Purposes” arriva nei negozi nel gennaio del '94, annus horribilis per qualsiasi gruppo di metal classico: tra tornadi grunge e tempeste altenative il vecchio Sabba inglese ha ancora ragione di esistere? La risposta è sì. Un po' come i “cugini” Motorhead, i Black Sabbath ebbero la capacità di riuscire a muoversi tra ere musicali molto diverse fra loro senza di fatto mai stravolgere la propria proposta o cedere a mode passeggere, a mo' di fossile che si preservava nel tempo indipendentemente da quanto gli accadesse intorno. “I Witness” è un pezzo serrato, ottimo per aprire il disco e che mette in mostra, oltre alle già note capacità dei singoli, un'ottima produzione. “Cross Of Thorns” è cadenzato e atmosferico, supportato dall'ugola del mai troppo lodato Martin, l'unico davvero capace di non far rimpiangere gli storici Ozzy e Dio, mentre “Psychophobia” non si sposta di un centimentro da quanto proposto fino a quel momento, con un hard rock potente e melodico. Se “Virtual Death” fa fin troppo il verso ai Sabbath doom dei primi anni, “Immaculate Deception”, con le tastiere di Nicholls sempre in evidenza, fotografa alla perfezione un gruppo ormai collaudato, nonostante i tanti cambi di organico. “Dying For Love” è una bella ballata ma le successive “Back To Eden” e “The Hand That Rocks The Cradle” sanno di già sentito e anche “Cardinal Sin” non brilla certo per originalità. Si arriva in fondo all'album con “Evil Eye”, brano discreto ma nulla più.

“Cross Purposes” si rivela quindi essere un piacevole disco di hard rock melodico, che parte molto bene per perdersi un po' strada facendo con alcuni pezzi non sempre a fuoco: a volte c'è la sensazione che, arrivati “solo” al diciassettesimo LP si iniziasse ad accusare un po' di stanchezza, almeno in fase compositiva. Da anni il disco è fuori catalogo, come buona parte di quelli con Tony Martin, ma si vocifera di una nuova collaborazione tra il cantante e il chitarrista: chissà che non sia l'occasione buona per aprire gli archivi e ristampare un po' del vecchio materiale.

Black Sabbath:

  • Tony Martin, voce
  • Tony Iommi, chitarre
  • Geezer Butler, basso
  • Bobby Rondinelli, batteria
  • Geoff Nicholls, tastiere

“Cross Purposes”:

  1. I Witness
  2. Cross Of Thorns
  3. Psychophobia
  4. Virtual Death
  5. Immaculate Deception
  6. Dying For Love
  7. Back To Eden
  8. The Hand That Rocks The Cradle
  9. Cardinal Sin
  10. Evil Eye
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