I Sabs avevano dichiarato che "Vol 4" avrebbe rappresentato il loro prodotto più vario in assoluto.
In un lustro nel quale numerose compagini avevano rischiato di intaccare la propria credibilità, proponendo alla sempre crescente scena Heavy Rock (il termine Heavy Metal non era certo in voga allora) produzioni decisamente innovative rispetto ai fortunati esordi, i quattro di Birmingham non apparvero curarsi molto di tali frivole paranoie conservatrici, che a tutt'oggi tristemente attanagliano numerose scene musicali.

Abbandonata la ferocità espressiva e la cadenzata oscurità che ne aveva sino ad allora caratterizzato il percorso musicale, i Black Sabbath si mostrarono come una band priva di qualunque timore nei confronti della sperimentazione sonora, sino a suggerire un possibile paragone con la nuova scuola Progressive che vedeva al suo vertice gruppi come Genesis, Yes ed ELP.

Inspiegabilmete bistrattato dalla critica l'album presenta una compattezza unica e particolare, risultando un esperienza affascinante e malinconica se colto nella sua interezza. Una suite ininterrotta, una via diretta al cuore dell'esperienza sonica dei quattro componenti, che si plasma nel corso della lunga coda strumentale del brano d'apertura ("Wheels Of Confusion" che inevitabilmente suggerisce il richiamo alla già citata scena Progressive), ti culla con una classica e delicatissima ballad (la sorprendente "Changes") per poi sprofondare nella vuota esistenza alla quale condanna l'abuso della cocaina ("Snowblind").
Menzione a parte merita certamente la stupefacente maestria di Tony Iommi, dalle cui mani scaturiscono riffs che, pur brillando di luce propria, in nessun caso risultano decontestualizzati da quella che è la struttura melodica dei brani ("Supernaut" è certamente l’esempio migliore).

Un viaggio fuori dal percorso artistico proprio di Osbourne e compagni, ricco di forza e di carica emotiva. Non epocale ma particolare.

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