Bene, siamo di fronte a qualcosa di considerevole, non c'è dubbio. Pensare che quattro ragazzi ancora minorenni siano stati in grado di tirar fuori un lavoro del genere non può lasciar spazio ad altre conclusioni, d'altronde non bisogna certo vergognarsi di parlare di una band semi-sconosciuta come erede dei grandi del passato, poichè tutti hanno cominciato da un primo album, e tutti sono venuti dal nulla per poi lasciarci veri e propri orgasmi adagiati su un pentagramma.
Basta ascoltare la prima traccia, "Shockwave" (peraltro la più celebre, ma questo è un altro discorso) per valutare il potenziale distruttivo della band, ma anche per capire cosa dovevano pensare i vecchi thrashettoni la prima volta che ascoltavano "Hit the lights", primo pezzo della carriera dei Metallica; un suono nuovo e vecchio, che sa prendere cioè i giusti spunti del passato e farne ciò che più ritiene opportuno, mescolando varie influenze in cui prevale quella thrash, senza nascondere però una vena hard rock decisamente radicata nei quattro ragazzacci. Il riusltato una potente pozione che ci provoca assuefazione, un sorrisetto che ci fa ancora sperare che una band possa riportare il nome del thrash in cima al mondo, da dove negli anni '80 guardava tutti con disprezzo.
Andando avanti però, il nostro entusiasmo si ricompone, i nostri Black Tide nelle successive tracce ed in particolare in "Enterprise" e "Light Fast Dye Young" sembrano riprendere eccessivamente correnti musicali precedenti, peccando di poca originalità, forse possono essere definiti un pò "paraculi" in un mondo che troppo poco accetta l'anticonformismo, e al quale piace uniformità come parola d'ordine. Si delinenano riff di chitarra che sembrano scritti direttamente dagli AC/DC, ed anche la batteria di Steven Spence, che inizialmente a forza di fill e accompagnamenti da puro speed metal, va rammollendosi.
Poi, all'improvviso, a ridar colore ad un lavoro tutt'altro che negativo, comunque, ci si mette, ironia della sorte, proprio la cover di "Hit The Lights" dei venerati Metallica, e le canzoni seguenti, come "Black Abyss", dopo la cover, vibrano più dolcemente nelle nostre orecchie in seguito alla riproduzione perfettamente esguita del pezzo tratto da "Kill'Em All"(1983). Da sottolineare la track che dà il titolo all'album "Light From Above" in cui tessera fondamentale del mosaico è rappresentata da un giro di chitarra davvero piacevole.
In conclusione, non si può far altro che applaudire questi ragazzi, ed in particolare il frontman Gabriel Garcia e la sua voce strepitosa, che ci ricorda un po' il buon vecchio Hetfield, lasciandoci un po' l'amaro in bocca ed un adrenalina elettrizzante contemporaneamente.
Anche se, come detto, a volte le canzoni sono piuttosto ripetitive, va comunque apprezzato lo stile della band, che ha il merito di farci tenere il tempo col piede che batte per terra, e questi piccoli gesti sono ciò che davvero testimonia il potenziale di questi ragazzini.
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