Ritchie Blackmore è sicuramente una delle figure più affascinanti e controverse della storia del Rock. Colui che ha fatto del genio e sdregolatezza un vero Credo. Fautore indiscusso delle bizze umorali, vero marchio di fabbbrica della personalità del Nostro e che tanto gossip musicale hanno alimentato in questi 40 anni e passa di carriera. Che Ritchie avesse delle strane idee in testa e che con il Rock canonico non avevano tanto a che vedere, lo si era capito da un pezzo. Già dalla fine degli anni '80 cercava di coinvolgere gli altri membri dei Deep Purple in gioconde scene storiche dal sapore medieval-cavalleresco; cose che onestamente non suscitavano entusiasmo in Gillan e in tutta la allegra combriccola porpora. Ma sicuramente il punto di non ritorno si toccherà nel pieno del tour di supporto a "The Battle Rages On".

Correva l'anno 1993. Blackmore saliva abbardato con tanto di medagliette araldiche attaccate al cinturone, e che affascinante contrasto riuscivano a creare con la calzamaglia nera e con gli stivaletti dai lacci alle caviglie. Un menestrello, non un Rocker. Penso che nonostante tutto, quel periodo abbia lasciato ai posteri il sound migliore della storia di Ritchie, assieme a quello del biennio 1976/1977; ma stando al look tutto lasciava pensare tranne che ad un chitarrista Rock. Pianterà in asso la casa madre nel bel mezzo del tour (concluso al suo posto da Satriani) non facendovi più ritorno. Per questa dipartita definitiva, tra i fan dei Deep Purple, nei momenti di stanca, viene naturale dare vita a quei famigerati gossip musicali che tanto animano le discussioni; dando vita ad un pò di chiacchiera: c'è chi punta fermamente il dito contro Candice Night. La vera mantide prosperata in quegli anni in seno alla famiglia Purple, e che porterà via Ritchie, conosciuto nel 1990 dopo una partita di calcio di beneficenza che vedeva Ritchie protagonista e Candice nelle vesti di inviata di una piccola emittente radiofonica. Come se non bastasse arriverà la madre di Candice, la quale diventerà in seguito la burattinaia dei Blackmore's Night, allontanando sempre più Ritchie dal mondo e dai fan dei Deep Purple. Ma nonostante ciò, non credo che la relazione tra La Bionda e Blackmore sia il motivo principe. O meglio: questo potrebbe essere stato un ottimo paracadute per Ritchie, stancatosi definitivamente dei Deep Purple e soprattutto di Ian Gillan, suo storico antogonista. Ritchie riordina le idee e cerca di dare spago alla sua passione per le musiche medievali; stando a quanto sostiene lui nata in tenera età, cioè quando il padre lo portò a visitare un castello in Germania. Un'altra sua versione attribuisce la scintilla al tradizione "Greensleaves" e che riprenderà svariate volte con i Rainbow: sostiene che dopo averlo ascoltato per la prima volta, credette di averlo già sentito in una vita precedente (!) Non è strana come cosa. Mi è capitato di sentire qualcosa che non ho mai ascoltato ma la quale mi sembra già familiare al primo ascolto. Non so se questo fenomeno abbia un nome specifico (...) Dopo una fugace riproposizione dei Rainbow nel 1995, da cui nacque il buonissimo "Stranger in Us All" e che vedeva Candice nelle vesti di corista, Ritchie decide di svoltare definitavamente, dando vita con la sua compagna ai Blackmore's Night. Ok Ritchie: saccheggiamo un po' il repertorio dei tradizionali medievali, supportate dalla mia voce celestiale e da qualche battito di ciglia, e mettiamoci pure la tua indiscussa classe, con un pò di Pop ruffiano e accattivante alla Mike Oldfield di "Moonlight Shadow" possiamo partire.

Questa in sintesi la evoluzione dei Blackmore's Night, autori di un debutto come "Shadow of the Moon" e che annovero tra i miei dischi preferiti, il quale vedeva anche uno come Ian Anderson ospite in uno dei migliore pezzi del disco ("Play Minstrel Play"). Una prima pietra sensazionale di un gruppo partito con il botto, spinto anche dalla novità della proposta messa in campo da uno come il chitarrista (ex) dei Deep Purple, ma che darà vita ad una inesorabile parabola discendente. Questo disco, "Ghost of a Rose", rappresenta lo spartiacque del prima e dopo dei Blackmore's Night, il quale tiene al propio interno momenti entusiasmanti che furono e momenti saturi e inevitabili che verrano da questo disco in poi. "Ghost of a Rose" oltre ad essere il titolo che dà il nome al disco, è anche una delle canzoni di punta del disco: è sicuramente uno dei momenti migliori. Una sognante e delicata ballata dedicata alla figura di Jacqueline du Prè, sfotunata violoncellista inglese morta a causa della distrofia muscolare nel 1987, la cui storia viene proposta nel bellissimo "Hilary and Jackie" con Emily Watson. Il disco lascia una sensazione di frammentato, come se non stesse seguendo un filo unico; propio per questo motivo i momenti di stanca e i momenti accettabili sono diluiti, confondendosi e non dando una idea omogenea del disco. Cosa diversa dal folgorante esordio o dal secondo "Under a Violet Moon" e i quali scorrevano lisci come l'olio. Sono tanti i momenti godibili: da una evocativa "Diamonds and Rust", cover di Joan Baez, a "Rainbow Blues", cover dei Jethro Tull; la quale la preferisco in versione Blackmore's Night che non Tull.

Qualche accattivante ma ruffiano esperimento dal sapore arabeggiante come "All for One" a stucchevoli ballate simil-natalizie di dubbio gusto come "Ivory Tower". La classe di Ritchie non si discuto, come si evince da pezzi come "Nur Eine Minute", in cui si esalta ed esalta; ma tutto il discorso da questo momento in poi lascerà più di qualche perplessità, anche in chi, pur desiderando ardentemente un Ritchie alla Deep Purple o alla Rainbow, ha apprezzato, fino ad un certo punto, questo suo sogno.

Ritchie, Torna! 'sta casa aspetta a te...

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