Il Dylan degli anni Ottanta, da sempre etichettato come il Dylan "minore". E in parte sarà sicuramente vero, eppure io trovo che questo album sia un capolavoro.
Certo, i dischi dei '60 sono rivoluzionari, la trilogia elettrica ha fatto la storia del rock, e via dicendo. Ma Infidels - che sul piano strettamente musicale può vantare la produzione e la chitarra di Mark Knopfler - è il capolavoro della maturità; è il manifesto di un Dylan ormai disilluso: disilluso rispetto agli ideali giovanili dei primi album di protesta, alla fuga nei mondi surreali e visionari del signor Tamburino, alla conversione alla fede cristiana che aveva partorito la trilogia religiosa immediatamente precedente a quest'album. Infidels è l'album in cui Dylan sembra finalmente togliersi tutte le maschere e fare i conti con se stesso e con il mondo che lo circonda, affrontando temi importanti quali la religione, la politica, il progresso, il capitalismo, la condizione umana, con la voce dell'uomo maturo e disincantato, impietoso nel ritratto di una realtà spietata e degradata. Questo è un disco apparentemente facile e leggero, ma in realtà carico di contenuti e di innumerevoli spunti di riflessione.

Prendiamo la traccia d'apertura, la celebre "Jokerman": dietro un motivo facile ed orecchiabile si nasconde una lucidissima riflessione sulla religione e sui suoi paradossi; protagonista un'enigmatica figura divina o semi-divina (potrebbe essere Gesù Cristo - o anche no - ma non ha importanza) che sembra divertirsi con beffarda crudeltà a disorientare gli uomini mentre il mondo sprofonda nel baratro della guerra e della violenza. Nel testo Dylan riesce a disseminare con leggerezza incredibile una moltitudine di citazioni e riferimenti biblici, arrivando persino - nel finale - a prefigurare l'avvento dell'Anticristo. Non male, da parte di uno che fino all'album precedente cantava inni di lode al Signore e alla sua Grazia redentrice. E che ora ha le idee ben più chiare sul tema religioso, tanto che non si fa problemi a cantare - in "License to Kill" - che "l'altare a cui [l'uomo] prega è una pozza stagnante, e quando vede il suo riflesso è soddisfatto". "License to Kill" è forse la canzone più amara del lotto, quella in cui la disillusione assume i toni più pessimistici e senza via di scampo, nella descrizione di un'umanità accecata dall'avidità e dalla violenza, irrimediabilmente instradata verso l'autodistruzione. Un'umanità in cui "certe volte Satana si annuncia come un uomo di pace" ("Man of Peace") e fa subito proseliti tra gli uomini con i suoi modi affabili e seducenti.

"Neighborhood Bully" e "Union Sundown" trattano invece in maniera molto diretta (troppo?) temi di scottante attualità: rispettivamente, la questione di Israele (per la quale Dylan fu subito tacciato di sionismo) e la globalizzazione economica. Entrambe molto controverse, sono forse i brani più deboli dell’album, assieme alla conclusiva "Don't Fall Apart on Me Tonight", tipica canzone d'amore amara e sofferta come Bob ci aveva abituato fin dai tempi di Blood on the Tracks.

Ma a mio modesto parere le due perle più luminose di questo disco sono le stupende "Sweetheart Like You" e "I and I".
La prima, dolcissima, sembra una semplice canzone d'amore e invece è qualcosa di più. Lo scenario è sempre quello di una società spietata e corrotta, ma qui fortunatamente c'è una via di scampo, ed è rappresentata appunto da questa sorta di donna-angelo quasi stilnovistica, questa figura mistica e idealizzata a cui Dylan si rivolge accoratamente: "Ma cosa ci fa una bella ragazza come te in un buco come questo?" Molto si potrebbe discutere sull'identità di questa figura angelica che mostra al cantautore la via per "la terra dell'eterna beatitudine": c'è chi dice che potrebbe essere ancora una volta Cristo, visti anche qui gli insistiti rimandi alla Bibbia nel testo. Ma siccome alla fine ognuno è libero di dare l'interpretazione che vuole, personalmente mi sento di appoggiare un'analisi letta su Internet di un fan che la identificava con la Statua della Libertà, e di conseguenza con la personificazione della Libertà stessa per la quale Dylan rivendicherebbe dolcemente e fieramente l'amore, in un mondo che tende sempre più a soffocarla e umiliarla. Poi magari Dylan aveva in mente tutt'altro, ma mi piace vederla così perché mi ricorda per certi versi quell'altro gran pezzo di capolavoro che è "Se ti tagliassero a pezzetti" di Fabrizio De André, con quella sua appassionata dichiarazione d'amore alla "signora Libertà, signorina Anarchia" che peraltro è di appena due anni prima. Ma ora non voglio divagare troppo.
"I and I", infine, è forse il vero capolavoro del disco. Uno stupendo pezzo intimista in cui l'autore fa finalmente i conti se stesso. Io ed io. Robert Zimmermann e Bob Dylan. L'uomo e l'artista. La persona e la maschera. "Uno dice all'altro: nessuno vede la mia faccia e vive ancora". E ancora una volta l’amarezza, il pessimismo, la disillusione di fronte ai principi religiosi, agli ideali giovanili, alle illusioni dell'amore e dei sentimenti. Cosa è rimasto di tutto ciò nel Dylan di oggi? "Una volta ho preso un sentiero non battuto, dove non è il più agile a vincere la corsa, ché anzi la vince chi più vale, chi sa dispensare la parola di verità. C'è voluta una straniera a insegnarmi a fissare il bel volto della giustizia e a vedervi occhio per occhio e dente per dente" (...) "Con la mia bocca sta parlando qualcun altro, ma io presto ascolto solo al cuore. Ho fatto calzari per tutti, anche per voi, e vado ancora scalzo". Bellissimo. "I and I" è, insieme a "My Back Pages", "Not Dark Yet" e poche altre, una delle rare canzoni in cui Bob Dylan mette a nudo la propria anima e ci si presenta finalmente con le sue debolezze, insicurezze e sofferenze.

O forse no. O forse è solo un'altra maschera di un personaggio inafferrabile e indefinibile, che da decenni si diverte a confondere il suo pubblico presentandosi in vesti sempre diverse e imprevedibili. Anzi, torniamo alla prima traccia. Torniamo a "Jokerman". Il beffardo e inafferrabile uomo-jolly che è tutti e nessuno, è Cristo e l'Anticristo, Dio e Satana, il sacro e il profano allo stesso tempo. E se non fosse niente di tutto questo? E se - come ipotizzato da molti - fosse semplicemente lo stesso Bob Dylan?

Oh, Jokerman, you know what he wants.
Oh, Jokerman, you don't show any response.

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