2006, nella nostra Era Vulgaris, dominata da gruppo scimmiottatori dei mitici sixities and seventies e da cantanti improponibili, una stella che rischiara da 44 anni il firmamento musicale si risveglia da 1 letargo durato ben 5 anni... e i risultati saranno all'altezza delle aspettative...

Bob Dylan, uno dei più grandi miti della seconda metà del '900, a 66 anni suonati decide di rimettersi in gioco.... chi ritiene che questi,dopo una carriera ricca di successi e riconoscimenti, abbia deciso di riposarsi sugli allori, dovrà ricredersi dopo l'ascolto di questo disco.P er apprezzare questo nuovo album del menestrello, bisgna prendersi del tempo, accompagnarlo ad 1 buon bicchiere di vino e lasciarlo lasciarlo stagionare nei nostri cuori. Immaginate i saloni aristocratici anni '50, nobili e dame che ballano ed avrete l'atmosfera di "Modern times". Dai tempi in cui Bob vagava all'interno dei Café del Greenwich Village e suonava nei diversi locali, tra cui il celebre Gaslight di Van Ronk, ne sono passate di primavere, ma anche di autunni e lunghi inverni.... però sembra che dal 1997 la primavera sia tornata a illuminare il cammino del nostro menestrello.

Il disco parte con "Thunder On The Mountain", un blues che sarebbe potuto uscire nel 1950, magari da un album del compianto Muddy Waters. La canzone è ben costruita su un giro di chitarre prettamente blues. Il ritmo è trascinante, anche se l'ascoltatore rischia di rimanere freddo di fronte ai brani più roots, come il sovracitato e le varie "Rollin and thumbling" (grande interpretazione vocale nel brano più tirato dell'album, ai confini tra il blues e l'hard rock), o "Someday Baby", o ancora "The Leeve's gonna Break", grande blues costruito su una base melodica semplice ed essenziale... Ad intervalli regolari, tra le canzoni più blues, si stagliano ballads dalla dolcezza e profondità inalterata dal timbro vocale ormai roco del Nostro, ma anzi rese ancora più profonde dalla sua voce straziante e straziata dagli anni e dai vizi. Bob prima ci trasporta in un'atmosfera festosa e gaia, ma poi ci fa tornare alla cruda realtà della vita, disseminata di sventure e paure, con le sue ballads dolenti. Però la speranza, che deve guidare la vita dell'uomo, riaffiora in più punti e ci permette di sognare... L'atmosfera, nelle ballads, è cupa, ma non claustrofobica. La luce si intravede, anche se è intermittente e discontinua.... come la nostre vite d'altronde.

Pezzi come "Workingman Blues#2" o "Nettie More" scavano un solco profondo nel nostro cuore e riescono con la loro semplicità a riscaldarlo. Proprio questi due pezzi possono essere annoverati tra i classici di Bob e non sfigurerebbero, credetemi, neanche di fronte a "Just Like A Woman". L'ultimo pezzo, "Ain't Talking", funge da commiato a questo album e consegna Bob Dylan e le sue poesie ritmiche all'eternità. Il resto delle canzoni lo lascio scoprire a voi... sperando che l'ora passata insieme a Bob possa illuminar anche a voi il cammino...

Come diceva la zia di Bob in "Chronicles vol.1"... "Happiness isn't on the road to anithing.... happiness is the road".... ma non aveva fatto i conti con un nipote che ha aperto a molti le porte del Paradiso....

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