"... e all'improvviso tutto gli fu chiaro".

Ancor più chiaro oggi in questa splendida veste.
Dove i suoni sono migliorati. Alcuni brani originali allungati. Un prezioso booklet con gli scritti degli autori e di David Toop. E dulcis in fundo ben sette tracce recuperate dai nastri analogici.

Sì, ma che cosa non era chiaro? Cosa è successo?
Semplice. A cavallo tra i 70 e gli 80, quando grande era la confusione sotto il cielo. Quando nuovi movimenti sonori e sociali sbocciavano. E scorrazzavano smarriti in praterie mutanti. Quando anime sovraeccitate si interrogavano sul Senso e sui sensi. Insomma, quando il pedale del mondo accellerava, comparve un segnale stradale recitante: “My life in the bush of ghosts” .
E allora in tanti lo guardarono con stupore e meraviglia. Perché mostrava frecce che, per una volta, non indicavano un’unica direzione. Indicavano molteplici traiettorie possibili. Indicavano immagini di un altrove proiettato nella nostra realtà. Visioni etniche, sovrapposte e tremendamente affascinanti.
Incubi sintetici (American is waiting). Drammi mistici (Mea Culpa). Misteri esotici (Regiment). Sermoni deliranti (Help Me somebody). Esorcismi tribali (The Jezabel Spirit). E via così, senza tregua, per diciotto tappe.
Diciotto caleidoscopi sonori di funk sincopato e rock alieno misto a voci di predicatori televisivi, nenie arabe e ritmi africani.

Insomma, un soundclash cultural-musicale di rara efficacia. Generato da una coppia di geni. Ispirato da afro-futuristi e realizzato nell’epoca in cui il taglia e cuci era ai primordi. Un gioiello artigianale che ancor’oggi, addizionato con inediti interessanti, sorprende e gratifica la mente.
Un sole musicale destinato a permanere alto e brillante per gli anni a venire.

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