Premetto che siamo di fronte ad un album dell’artista con cui sono cresciuto per eccellenza, e probabilmente il più rappresentativo nell’ambito del cosiddetto genere heartland rock.

Parliamo proprio di lui, il grande, immenso, Bruce Springsteen. E, precisamente, del suo ultimo album in studio con tanto di E-Street Band ad accompagnarlo, Letter To You.

10 settembre 2020. Esce il nuovo singolo di Bruce Springsteen, chiamato Letter To You, che ascolto per la prima volta su YouTube, e che anticipa l’omonimo album in questione. Appena sentita dico “bella canzone”, poi la ascolto sul CD più di un mese dopo… Ed è davvero tutta un’altra cosa, la apprezzo infinitamente di più. Ma l’album in generale non è da meno. È il ritorno del Bruce che un amante del rock come il sottoscritto desiderava, sicuramente molto più nel classico stile springsteeniano rispetto a Western Stars dell’anno precedente. Contiene curiosamente tre canzoni che Bruce scrisse originariamente negli anni 70, a inizio carriera.

Il diario di bordo si apre con One Minute You’re Here. Unico pezzo in acustico dell’album, molto bello e anche molto realistico, il cui tema principale è la caducità della vita. Segue l’ottima, già citata title track, e il rock in essa presente si ripete – anzi, diventa ancora più portentoso – in Burnin’ Train, una cavalcata rock gustosissima, tra le mie preferite dell’album, che tra batteria e chitarre alquanto scalpitanti, ripete nel testo il motif del treno tanto frequente nei testi di Bruce. La successiva Janey Needs A Shooter, primo pezzo della scaletta risaliente agli anni 70, è forse un po’ troppo elaborata e gigionesca per i miei gusti. Sia ben chiaro, non boccerei nessun brano dell’album nel modo più assoluto, siamo in ogni caso su ottimi livelli qualitativi, ma ci sono sempre pezzi che possono essere più o meno nelle mie corde. Le successive Last Man Standing e The Power Of Prayer sono state talvolta criticate per la loro somiglianza, ma a mio parere funzionano bene. In particolare, la seconda è stata una scelta decisamente azzeccata come terzo singolo dell’album, e nelle radio italiane ha ottenuto molto successo. House Of A Thousand Guitars è una canzone che divide molto i pareri, e anche se sicuramente bella, non è tra quelle che all’interno dell’album mi entusiasmano, la ritengo un filino ripetitiva. Non elenco in ordine gli ultimi pezzi della tracklist, ma dico che Rainmaker, If I Was The Priest e Song For Orphans – tra le quali le ultime due risalgono agli anni 70 – sono tutte e tre delle valide ballate rock in stile springsteeniano, mentre Ghosts, secondo singolo estratto dall’album, è un’altra delle canzoni portanti dell’album. Grande canzone, direi la mia preferita insieme a Burnin’ Train e la title track, è un rock di quasi 6 minuti potente e incalzante, che rievoca nel testo le persone che sono state care a Bruce e alla sua E-Street Band in passato, membri del gruppo che hanno fatto la storia. I’ll See You In My Dreams, altro brano rock potente e molto ben riuscito, chiude alla perfezione l’album. È, tralasciando il fatto che sia l’ultimo brano estratto come singolo – proprio in questi giorni, tra l’altro – un altro dei pezzi dell’album che sto decisamente apprezzando. La morte non è la fine, ci si rivede nei sogni: quando delle persone a noi care muoiono, il ricordo è inevitabilmente eterno.

È in questo semplice modo che voglio chiudere questa recensione: GRAZIE BRUCE!

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