“da ragazzino ci ho speso 'na cifra nel juke box pè sto pezzo... “.

A pensarci sarebbe bello funzionasse così.

Tipo certi ipermercati che, quando compri una cosa, ti dicono che se la trovi da un’altra parte ad un prezzo inferiore sono disposti a restituirti la differenza.

E allora, in questa epoca in cui è (quasi) tutto disponibile gratis su internet, sarebbe bello poter tornare indietro nel tempo, come una canzone cantata al contrario, per andare in giro a ritrovare tutti quei juke box con dentro le nostre monete per farcele restituire.

Diventeremmo tutti ricchi.

Sono però convinto che una volta li, fanculo ai soldi ritrovati, ce li sputtaneremmo nuovamente negli stessi juke box.

Ad ascoltare le stesse canzoni da radio, da spiaggia, da chiosco sulla spiaggia, di allora.

Siamo tutti nostalgici, almeno io lo sono, lo ho già detto.

Del resto era quello il modo di passare le lunghe giornate di estate nei primi anni 70, oltre che, per noi maschi di più o meno dieci anni, con le partite di pallone con i pali a forma di sassi..

Ogni tanto però non mi accontentavo, mi piaceva fare altro.

Un giorno, ad esempio, mi misi in testa di costruire un aquilone con fogli di giornale e con la struttura fatta con sezioni longitudinali di canne…

Era una giornata di agosto, appena passato un tipico temporale estivo, il solleone era tornato a dominare il cielo come in un’estate primordiale, dopo che un vento selvaggio aveva spazzato via tutte le nuvole.

Ero solo poco più di un bambino, senza alcuna competenza in ingegneria aeronautica, ma avrei dovuto capire che forse non poteva volare.

Salii sul tetto della casa dei cugini di campagna (i miei parenti, non quelli di “Anima mia”, quella suonava alla radio, ma non era casa loro).

Il mio aquilone, lanciato giù dal tetto, provò a salire a cavallo del vento, ma era troppo pesante e il vento lo disarcionava.

Provai più volte a fare il tentativo di farlo volare, tutte le volte senza successo, finché all’ultimo tentativo, finalmente, ci riesco…

L’aquilone prende il volo, con la mia gioia attaccata addosso.

Miracolo!

Raggiante scendo le scale dal tetto, entro nella cucina, faccio per raccontare a mia madre la mia impresa quando mi accorgo che alla radio stanno trasmettendo una “canzone” che non ho mai sentito prima, nè alla radio nè sul juke box della spiaggia.

È in una lingua che conosco appena, ci sono le campane della chiesa a festa e i sorpassi in bicicletta verso una meta che non esiste, con i caschi da motociclisti in testa, prima sono davanti io, poi dopo pochi secondi mio cugino più grande, poi ci fermiamo per bere e si riparte, poi mio cugino più piccolo, poi tutti appaiati, poi per incanto di nuovo io, poi mio cugino più grande, è così via, sempre più veloci, a ritmo, è una canzone davvero “strana”, come è strano il fatto che il mio aquilone sia riuscito a volare, e, ora, continui a farlo…

lector: Io credo che questa musica sia tutt'altro che cerebrale e/o cervellotica. C'è il battito, il ritmo primordiale e la totale libertà. I musicisti si ascoltano, respirano insieme e viaggiano, senza preoccuparsi della meta. E' musica selvaggia, in questo senso. L'emozione sta nella capacità dell'ascoltatore di perdersi. 

Ah! E poi è la Musica bellissima! 

zaireeka: Sei convincente, non c’è che dire

zaireeka: Ho bisogno di tempo, comunque, per salire su questo aquilone trasportato solo dal vento

lector: Prenditelo quel tempo! 

Ho già (ri)trovato il tempo.

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