Arrivati in cima alla montagna, guardiamo giù per il pendio che si perde nel bosco, e quindi nell’indistinto verde muschiato che ricopre le valli dei nostri anni passati. Questo slancio poetico banale ma caruccio serve ad introdurre l’argomento rap italiano, musica oggi evoluta in una forma che non pare neanche lontanamente imparentata con la roba che facevano i Sangue Misto e tutti i tizi dei 90. Insomma, è un po’ come osservare un filo di lana a qualche metro di distanza e con -6.75 di miopia; non vedi un cazzo, se non una nube allungata che ti han detto essere un filo. Questo per dire che dovrebbe essere chiaro che Chadia Rodriguez non ha niente a che vedere con Neffa e Gruff, eppure a loro si allaccia, li cita come influenze, seppur la sua poetica si muova su strade assai diverse, lastricate di caramelle, lattice rosa e antidepressivi a forma di orsetti colorati.

Quel legame assurdo che unisce una ragazza di vent’anni che canta di farsi sbattere ore per far battere il suo cuore e tre Mc incappucciati che davanti a un pubblico di nerd cantavano della loro posizione di stranieri nella loro nazione, risiede proprio nelle parole che ho appena scritto, e che coincidono con l’idea di solitudine. La solitudine è il motore dell’uomo, che si muove, lavora, fa musica per non sentirsi solo. Chadia ha fatto la stripper da adolescente, ora fa la rapper e si spoglia, metaforicamente e letteralmente, davanti a tutti. E chi la sa ascoltare, capisce il suo messaggio. In fondo è l'ennesimo il trionfo del rap, il vero erede del punk come forma d’arte in grado di dar voce agli emarginati. Il miglior lascito dei 90 musicali è proprio questa poltiglia accelerata di parole in rima su strumentali - di certo molto più incisivo del qualunquismo grunge che aveva rotto il cazzo dopo tre mesi. E quella di oggi (qualcuno la chiama trap), se non la migliore, è senz'altro la sua reincarnazione più genuina e aderente alla realtà giovanile.

Non mi ricordo più cosa volevo dire all’inizio. Ah si, ecco, volevo dire che un punto non c’è, né in questa recensione né in tutti i pipponi fenomenologici che vi inventate per parlare del rap contemporaneo, cercando di intepretarne i codici e i motivi del successo tra i giovani. Tanto non lo capite, continuerete a non capirlo e continuerete a collezionare vinili ponendo un’attenzione maniacale e malata alla loro manutenzione, senza poter mai assaporare il gusto di pompare pezzoni come "Fumo Bianco" e "3G" giù al parchetto e di interromperli dopo 20 secondi. Sarete sempre più nevrotici, mentre questi ragazzi, e queste ragazze, vi spazzeranno via. E la storia, che vi piaccia o no, la scrivono i vincitori.

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