La musica è una parte fondamentale della mia vita.

La scoperta musicale è, per me, un continuo percorso in un immenso oceano dall’aspetto frattale, alla ricerca di nuove isole inesplorate.

Se avessi avuto nella mia vita la stessa curiosità nel viaggiare e conoscere posti nuovi di quanta ne ho avuta nel conoscere nuova musica probabilmente oggi sarei su una galassia distante anni luce dalla Terra, chissà su quale lontanissimo esopianeta.

Allora succede che scopro un “diversamente rapper” italiano (Venerus) e grazie a lui e ad un video su youtube scopro un compositore francese originario della Martinica, Christophe Chassol, e subito sono di nuovo in mare...

E così ci si può trovare all’improvviso su un’isola sconosciuta, disabitata.

Poi trovi qualcosa di abbandonato, una scatola con una faccia mostruosa sul coperchio.

Nel momento in cui la stai per aprire una voce femminile che non si capisce da dove venga, come di una hostess all’interno di una capsula spaziale, dice qualcosa che fatichi a capire, parla di una bomba atomica, poi un attimo di silenzio e, subito dopo, l’abbaiare di un cane, il cinguettio di alcuni uccelli, e, dallo stesso posto da cui proveniva la voce femminile, due note lontane e poi una sequenza di toni analogici che sembra quella di incontri ravvicinati del terzo tipo, che fa il verso al canto di uno di quegli uccelli.

Un dolcissimo valzer morriconiano al pianoforte, o meglio ancora, dal sapore dei Beach Boys post crisi depressiva di Brian, segue in quella che scopri essere una registrazione lasciata da qualcuno che su quel posto ci è stato prima di te, naufrago chissà da dove, la ascolti e ci trovi prima di tutto la sua voce narrante sulla colonna sonora di un documentario sulla natura dell’isola.

Un fischio dolce e melodico di richiamo agli uccelli che la popolano (Pipothornology pt. I).

Poi un samba deciso e coinvolgente sempre condotto al ritmo di quel fischio, rincorrendo forse quegli stessi uccelli che ora volano via davanti a te (Pipothornology pt.II).

Il racconto cambia, forse è notte, si va con il pensiero indietro nel tempo, prima dell’arrivo sull’isola.

La nostalgia è una brutta bestia,

Il racconto musicale (Mario pt. II) ha qualcosa del Ravel più malinconico, cinematografico.

Di nuovo giorno, l’atmosfera cambia ancora, sempre lontano dall’isola, il diario di tutti i posti che ha visitato, delle persone le cui parole la sua musica ha colorato.

Ancora il naufrago che parla e parla, e note di piano dal retrogusto sintetico che danzano e marcano il ritmo di ogni sua singola parola ed un samba (Organe phonatoire), ma il caos creativo, fatto di voci e suoni, regna sempre più sovrano.

E tu sei li, con il costante sottofondo delle onde del mare che periodicamente lambiscono l’isola e bagnano le ultime note di ogni singolo racconto.

Due che discutono introducono qualcosa (Bwa brile) che sembra fatta della stessa saudage di certa musica brasiliana, per poi prendere ritmo.

Poi ancora un samba percussivo sfrenato (Carnaval pt. II), un frastuono assordante, primitivo.

Ogni tanto la voce del naufrago ritorna, entra nelle storie che racconta e ci canta sopra.

Suoni elettronici, suoni acustici, slanci ritmici improvvisi, sfiancanti.

Alla fine torno a casa, spossato, giusto un attimo prima che l’isola scompaia la guardo da lontano, Solaris a ritmo di samba all’interno di una esplosione atomica a cui mai assisterò.

Non so se l’ordine delle esperienze vissute è stato proprio questo.

Ho sognato o era tutto vero?

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