"Tarots and the North" (dodici scritti abbinati ciascuno ad un Arcano Maggiore di Luis Royo)

"X. The Moon"

È un meschino gioco di specchi ciò che attende gli equipaggi di oscuri e poderosi vascelli, determinati a solcare i riflessi ingannevoli dei gelidi flutti norvegesi, per riesumare i tesori sepolti nell'isola dei Circles End. Dolci motivi e ritmi suadenti catturano l'orecchio, occultando gli improvvisi agguati di gorghi famelici e correnti impazzite, finché una frase di omerica memoria riecheggia tra gli scogli affilati, facendo sussultare gli animi avidi e smaniosi delle ciurme: "Nessuno è mai passato di qui con la nera nave senza ascoltare dalla nostra bocca il suono di miele, ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose."

Tutto è indistinto. Risulta perciò difficile capire se sia un invito o una minaccia quella che sembra provenire dalla voce di Karl Riis Jacobsen, autentico rampollo di sirene velate di foschia, occupate a volteggiare con fare sinistro sopra le teste di numerosi avventurieri, attratti ormai nelle spire di un epico universo progressivo. L'enigmatico cantante è l'unica guida capace di orientarsi in quei luoghi arcani, dove un pertinace jazz rampicante e polimorfo ammanta i tronchi di un rock screziato dalle profondissime radici, conferendo un aspetto idilliaco e rigoglioso ad un regno invero ben più cupo di quanto non riesca a cogliere la superficialità dello sguardo.

I marinai superstiti di una spedizione, salpata nel 2001, raccontano di aver assistito alla costruzione di meraviglie architettoniche sotto la scrupolosa direzione del basso funkeggiante di Gøran Kristiansen ("The Fine Line"), ad accesi dibattiti tra due chitarre intente a prevedere la traiettoria di nubi sospinte dal capriccio di venti jazzati ("Startled Eye"), nonché ai pianti di una ninfa solitaria, confortata dalle carezze tenui del violino di Lars Christian Folkvord ("Long Gone"). Secondo alcune dichiarazioni, la vivacità formale degli strumenti sarebbe impietosamente affondata nelle insonni frustrazioni del basso, il quale, gettando le maschere accuratamente confezionate, non avrebbe tardato a svelare una spasmodica amarezza, sfogata di fronte al pallore di una luna indifferente ("Driving Beneath the Moon..."), ma subito dissimulata all'arrivo del sintetizzatore di Kristian Landmark ("...Into the Sun").

Il protagonista indiscusso di tali pittoresche narrazioni rimane comunque Karl, ipnotico e sbalorditivo nei suoi interventi vocali, sia nelle vesti affrante di testimone degli odiosi limiti a cui è incatenata la natura umana ("The Dead Is Me"), sia in quelle di raffinato tragediografo, impegnato alla regia di drammatiche scene, interpretate con pathos contagioso dalle chitarre di Trond Lunden e Omar Emanuel Johnsen ("Soliloquy", "This Day") e arricchite dal semplice ma determinante ruolo di supporto della batteria di Jarle Pettersen ("El Mar / La Mar").

Tre anni dopo la compilazione di questi dati, trascritti nel volume "In Dialogue with the Moon" da una schiera di consumati mitografi, sono giunti ulteriori resoconti dalle fredde acque del Nord, grazie all'insperato ritrovamento del diario di bordo appartenuto al veliero "Hang on to That Kite", in cui vengono illustrate le caratteristiche peculiari, sostanzialmente diverse dalle precedenti, di una "terra ferace" rischiarata dalla fulgida chioma di un sole generoso, che accudisce e nutre la flora tipica delle remote valli canterburyane. Tutto ciò dona verità alle parole di quella magica stirpe di sirene, finalmente in grado di offrire ai naviganti il promesso e benefico "suono di miele", scevro da insidie e raggiri, cui si adatta la doppia definizione di apice ed epitaffio dell'esperienza artistica di tali fantastiche creature, costrette già l'indomani ad accomiatarsi dai nostri aridi orizzonti, lasciando il mare orfano delle loro affascinanti conversazioni con la luna.

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