24 febbraio, election day, oggi potrebbero cambiare le sorti del nostro Paese… potrebbero… vorremmo tanto. Lo desideriamo da 40 anni. Fuori nevica che pare la vigilia di Natale.

Come un bradipo in letargo, mi contorto avidamente tra il torpore domenicale delle coperte, nell’attesa che la mia paziente madre mi venga a sbrandare per avvertirmi che il pranzo è pronto; contorno di patatine, e (a rotazione settimanale) qualche sfiziosa creatura che un tempo aveva il potere di calcare la terra con le proprie zampe. Tutto leccornioso come sempre e poi il “puccino”, asciugato con esperienza pluridecennale grazie ad una maestosa polenta.

Butto un occhio su Facebook, linko un paio di frasette scacciadepressione buttate lì, l’altro occhio su DeBaser, ficco una manciata di commenti alla cazzo come al solito, mi cambio, prendo l’ombrello e vado a votare. Il municipio è a 50 metri da casa. Non ho neppure lo sbattimento di togliere l’auto dal garage. Torno e aspetto un’amica con la quale devo vedermi intimamente verso le 17:00. Intanto che faccio?

Oggi ho voglia di leggerezza, di momenti di malinconia e di ricordi. Voglio riesumare un’ammuffita cassettina che acquistai quasi vent’anni fa in una bancarella del mercato per circa diecimila lire.

Oggi non è giornata di frasi metaforiche da interpretare, di suoni psichedelici, di assoli di batteria in trentaquattro trentacinquesimi e di strillanti acuti hard-rock.

Oggi mi sento una piuma che aleggia, nuota sospesa nell’aria e tenta di afferrare quel “gancio in mezzo al cielo”, oggi “voglio andar via da te che goccia a goccia hai spremuto il mio cuore”, viaggiare lontano col pensiero, mentre riagguanto vecchie foto, sono vittima di flashback di amici lontani e di amori ancora troppo vicini e ancora troppo presenti e intrisi nell’anima, incapaci come cicatrici o come nei di scivolare dalla pelle, ed eccoti amore mio in questa posa che scattammo in Toscana, “tu poggiata sui ginocchi e gli occhi tuoi per sempre nei miei occhi”, “ora che ho te in qualche parte del mio corpo a farmi male”.

Oggi il menestrello romano mi accompagna, con la sua ode ai vecchi, “sempre tra i piedi, chiusi in cucina se viene qualcuno, i vecchi che non li vuole nessuno, i vecchi da buttare via”, alle ragazze dell’est “piccole regine fra statue di eroi e di operai, lievi spine d'ansia nei petti rotondi e bianchi” e a quelle notti “di un amore disgraziato e notti amare ad aspettare te”.

Oggi è così e nulla cambia. E' giornata da pop leggero e di canzoncine da tagli in vena. Finalmente sono le 17:00, spengo lo stereo. Estraggo la musicassetta e la ripongo nello scaffale. Fuori nevischia ancora, siamo a zero gradi, mi copro per benino. Mi riecheggiano nelle orecchie le ultime frasi del pezzo che chiude il disco: “buona fortuna che non basta mai, a te che te ne vai”

Oggi non avevo pretese, oggi mi è bastato poco.

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