I miracoli, a volte, accadono.
È accaduto infatti che due leggende viventi dell'hip-hop, il rapper Common Sense e il produttore newyorkese Pete Rock, abbiano deciso di unire le loro forze per salvare il genere dallo squallore contemporaneo e ricordare a tutti che fine abbia fatto l'anima.
Il risultato di questo incontro è The Auditorium Vol. 1, un lavoro sì rivolto al passato, ma senza risultare nostalgico, fuori tempo massimo e che soprattutto si colloca su livelli completamente diversi (oserei dire astrali) rispetto a tante, troppe produzioni uscite negli ultimi decenni.
"From the stellar regions of the soul": così comincia "Dreamin'", incredibile omaggio ai maestri del passato (Prince, Aretha Franklin, etc...) e a qualche amico andato via troppo presto. La lacrimuccia, vi avviso, è dietro l'angolo ("Seen Trugoy the Dove, he began to fly/Told him, Pos and Mase, 'De La will never die'").
Il resto della scaletta (quindici brani per poco più di un'ora di ascolto) conferma quella che si rivela una collaborazione perfetta.
Da un lato troviamo Pete Rock, che pesca il meglio della musica afroamericana degli anni Sessanta e Settanta e lo arrangia su metriche di batteria mai scontate; dall'altro c'è un tale di nome Common, pronto a sparare le sue rime con una tecnica sopraffina, senza mai scadere nella volgarità fine a se stessa.
La maggior parte delle tracce ha un'atmosfera rilassata, con campioni vocali, morbide chitarre e cantati mai banali, eppure non mancano momenti più tirati, come i due eccellenti singoli che finora hanno trainato il disco, vale a dire "Wise up" e l'eccezionale "All Kind of Ideas", dove troviamo un Pete Rock in forma anche al microfono ("I'm soul brother uno, black from the future/Make beats on the table if I break my computer/And still make hits like I used to/Keep your top five, I'm God's favorite producer").
Pochi i featuring (Bilal, Posdnuos e un paio di bravi vocalist), nessun calo vistoso e livelli quasi sempre altissimi dall'inizio alla fine.
Ecco, così vorrei commentare ogni album di questo genere, cosa purtroppo raramente possibile. Poco importa, perché The Auditorium Vol. 1 è una meravigliosa lezione fatta da due cinquantenni che si divertono come dei ragazzini e ci ricordano che l'hip-hop non è solo champagne, macchinoni e gioielli di dubbio gusto, ma è lo specchio di una cultura pluridecennale con le radici piantate saldamente altrove (forse nel mitico Kings Theatre ritratto in copertina, sede di numerosi concerti di tanti musicisti soul, funk e non solo).
Insomma, omaggiare per innovare e andare oltre: è questo l'obiettivo principale e direi che con The Auditorium Vol. 1 i nostri eroi portano a termine la missione in maniera a dir poco brillante.
Da avere assolutamente.
Two guys under the guise of the Supreme Being
The evidence of things not seen
Dreams combined in beats and rhymes
Rubs on turntables, car seats recline
Eternal Sunshine, we push the art form
I can hear the ancestors saying "Keep on" (Keep on)
Keep on, keep on (Keep on)
Keep on, keep on
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