I miracoli, a volte, accadono.

È accaduto infatti che due leggende viventi dell'hip-hop, il rapper Common Sense e il produttore newyorkese Pete Rock, abbiano deciso di unire le loro forze per salvare il mondo dallo squallore contemporaneo e ricordare a tutti che fine ha fatto l'anima.

Il risultato di questo incontro è The Auditorium Vol. 1, un lavoro rivolto al passato senza risultare nostalgico e che si colloca su livelli completamente diversi (oserei dire astrali) rispetto a tante, troppe produzioni uscite negli ultimi decenni.

"From the stellar regions of the soul": così comincia "Dreamin'", incredibile omaggio ai maestri della black music (Prince, Aretha Franklin, etc...) e a qualche amico andato via troppo presto. La lacrimuccia, vi avviso, è dietro l'angolo ("Seen Trugoy the Dove, he began to fly/Told him, Pos and Mase, 'De La will never die'").

Il resto della scaletta (quindici brani per poco più di un'ora di ascolto) conferma le impressioni positive suggerite dall'incipit: siamo di fronte a una collaborazione assolutamente riuscita.

Da un lato troviamo Pete Rock, che seleziona il meglio della musica afroamericana e lo arrangia su metriche di batteria mai scontate; dall'altro c'è invece Common, pronto a incastrare le sue rime con una tecnica sopraffina e lontano da ogni volgarità fine a se stessa.

I due, va detto, non sono più dei ventenni, un dettaglio che si riflette inevitabilmente sul mood generale del progetto.

Di conseguenza, la maggior parte delle tracce ha un'atmosfera rilassata, con campioni vocali, morbide chitarre e cantati mai banali, anche se non mancano momenti più tirati, come i due singoli che finora hanno trainato il disco, vale a dire "Wise up" e l'eccezionale "All Kind of Ideas", dove troviamo un Pete Rock in forma anche al microfono ("I'm soul brother uno, black from the future/Make beats on the table if I break my computer/And still make hits like I used to/Keep your top five, I'm God's favorite producer").

Pochi i featuring (Bilal, Posdnuos e un paio di bravi vocalist), nessun calo vistoso e standard quasi sempre elevati dall'inizio alla fine.

Ecco, così vorrei commentare ogni album appartenente a questo genere, ma le possibilità, mi rendo conto, sono ridotte al lumicino. Poco importa, perché The Auditorium Vol. 1 è una lezione fatta da due cinquantenni che si divertono come dei ragazzini e ci ricordano che l'hip-hop non è solo champagne, macchinoni e gioielli di dubbio gusto, ma è lo specchio di una cultura pluridecennale con le radici piantate saldamente altrove (forse nel mitico Kings Theatre ritratto in copertina, sede di numerosi concerti di tanti musicisti soul, funk e non solo).

Insomma, omaggiare per innovare e andare oltre: è questo l'obiettivo principale e direi che con The Auditorium Vol. 1 i nostri eroi portano a termine la missione in maniera a dir poco brillante.

Da avere assolutamente.

Two guys under the guise of the Supreme Being
The evidence of things not seen
Dreams combined in beats and rhymes
Rubs on turntables, car seats recline

Eternal sunshine, we push the art form
I can hear the ancestors saying "Keep on" (Keep on)
Keep on, keep on (Keep on)
Keep on, keep on

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