Gent.mi utenti (medi e no), torno su queste pagine su sollecitazione di alcuni dei vostri colleghi, d'ambo i sessi, che nei mesi scorsi, oltre a complimentarsi con me privatamente per l'occasione di approfondimento fornita dai miei scritti, hanno rimpianto la mia dipartita dal sito e invocato, se pur sommessamente, un mio breve ritorno. A loro - che lascio anonimi - dedico pertanto, con l'affetto che in molti non mi riconoscono, ma che ben so portare agli altri, questa mia.

La giornata in cui Vi scrivo (anche se mi leggerete fra qualche giorno) è delle più delicate per la storia recente d'Italia, e, dunque, a prescindere dalle opinioni politiche di ognuno di noi, dalle speranze e dallo scoramento che le crisi degli ultimi sei mesi - parzialmente anticipate nei miei precedenti saggi: ad es. su Mara Carfagna, o sullo stesso Silvio Berlusconi e sulla natura sensuale, carismatica del suo potere e soprattutto del suo messaggio politico - hanno ingenerato nell'intera opinione pubblica. Non di questa giornata vorrei discutere in questo saggio, ma dell'uomo che, in qualche modo, ha fatto detonare una crisi latente, una discrasia fra le diverse anime della destra italiana destinata a ripercuotersi nello stesso quotidiano di ognuno di noi, ed, in ultimo, nelle febbrili ore dell'atteso voto di fiducia alla Camera.

Quest'uomo, come avranno inteso i più pronti di voi, altri non è se non Gianfranco Fini, autentico testimone della svolta e del mutamento della politica italiana, vista da destra, negli ultimi trentadue anni.

Di Gianfranco Fini i più anziani di Voi, o almeno la minoranza informata dei fatti, ricorderanno la tragica foto scattata, nel gennaio del 1978, nei pressi del circolo di Acca Larentia, teatro di un terribile delitto a carico di alcuni giovani attivisti politici del fronte conservatore, rimasto a tutt'oggi impunito (vedasi l'efficace resoconto di L. Telese, "Cuori neri", 2006) e simbolico spartiacque per la storia recente dello stesso paese, se si pensa che una giovanissima Francesca Mambro decise di darsi alla lotta armata come forma di reazione estrema nei confronti delle aggressioni dei gruppi extraparlamentari di sinistra. Con gli effetti, tragici, di cui purtroppo sappiamo bene (vedasi F. Bocca, "Tutta un'altra strage", 2009).

Sempre i più anziani, o comunque informati, ricorderanno nel giovane Fini il principale successore di Almirante alla guida del Movimento Sociale Italiano e le lotte politiche che, nei tardi anni '80, dopo la morte del suo mentore politico, lo contrapposero a Pino Rauti, altro rappresentante della destra italiana, sebbene legato, nell'esperienza ordinovista - non priva, a sua volta, di tragiche implicazioni nella strage di Piazza Fontana, di cui pochi giorni fa si è commemorato l'altrettanto drammatico anniversario, anche considerando l'assenza di colpevoli certi (su cui vedasi G. Barbacetto "Il grande vecchio", 2009, non riferito comunque a Rauti). In queste contrapposizioni, anche interne al partito che lo vide giovanissimo militante (pur provenendo da una famiglia con tradizioni di sinistra) emerge con nitore la diversità di Fini rispetto ad altri politici del fronte conservatore emerso negli anni '80 e '90, quasi a preconizzare la notissima "svolta di Fiuggi" con cui, nel 1995, sotto gli auspici di Pinuccio Tatarella e di altri moderati di centro-destra, l'esperienza missina venne fatta confluire nel partito che meglio di altri seppe rappresentare esigenze e pulsioni della piccola e media borghesia centro-meridionale, compresi peraltro i ceti militari: quella "Alleanza Nazionale" che solo nel 2008 confluì nel Popolo della Libertà, per riemergere e distaccarsi, pur con diversa formula, rinascendo dalle sue ceneri col nome di Futuro e Libertà.

Ma non di presente voglio parlare - fresche le notizie provenienti dalla Camera dei Deputati, Fini Presidente - bensì di passato, ed alla luce di questo libro ('95): libro, scritto dal De Cesare, a propria volta autore di un più recente tomo ('08) in merito, che prospetta, nemmeno troppo larvatamente, il presunto trasformismo di Gianfranco Fini, richiamando, con puntuali riferimenti d'agenzia - alcune sue dichiarazioni inneggianti ora al Fascicmo delle radici, ora a Mussolini in persona, ora a valori tipici di una destra radicale, e comunque non moderata. Libro che, evidentemente, pone l'accento sull'ur-fascismo finiano pur dopo la svolta di Fiuggi, riallacciando idealmente il fascismo degli anni '30 ad un fascismo degli anni '00, contraddistinto dall'abiura solo formale degli antichi valori.

Su questa tesi preferirei, tuttavia non soffermarmi, sia perché il discorso non può essere disgiunto da una più complessa analisi del berlusconismo, per come lo siamo andati delineando in precedenti saggi, sia perché superato, a mio parere, dagli eventi.

E' interessante, altresì, soffermarsi, anche dal punto di vista linguistico, su alcune delle principali dichiarazioni finiane riportare dal De Cesare, riflettendo sulla loro ambigua interpretazione, e, non ultimo, sul fatto che esse possono dirsi comunque espressive di un pensiero moderato, sconfessando le tesi dell'autore e mettendo in evidenza la probabile continuità fra il fini d'allora e quello degli anni '90, come pure del moderno statista d'oggi.

Si consideri l'idea per cui l'intuizione mussoliniana di una terza via in alternativa al comunismo e al capitalismo è ancora attuale, attribuibile al Fini degli anni '90. Argomentazione senz'altro corretta, specie se rapportata a periodi di grave crisi economia come l'attuale, in cui emerge netta l'esigenza di un intervento nello Stato nell'economia, ed in cui sembrano effettivamente evidenti le aporie e carenze del neocapitalismo da scuola di Chicago, fatto proprio dall'Occidente americano: prova ne siano i tentativi di riforma di B. Obama negli Stati Uniti d'oggi, su una linea non diversa dal New Deal americano degli anni '30 e dalla coeva esperienza fascista, sotto la guida di Beneduce e Bottai. O si pensi la dichiarazione - non documentata in questo libro - per cui un maestro che si dichiari omosessuale, non sarebbe effettivamente affidabile ai fini dell'insegnamento, e non certo per le sue pulsioni intime, rispetto alle quali nulla si potrebbe dire, ma per il semplice fatto che un'autoaffermazione di sé da parte di chi rappresenta un'istituzione laica ed aperta a tutti (eterosessuali compresi) stride con lo stesso esercizio della funzione scolastica (allo stesso modo in cui striderebbe con essa una professione pubblica di "eterosessualità"). Anche in ciò, sembra evidente la ricerca di un equilibrio fra posizioni contrapposte, con l'emersione di una tesi - poi ripresa dall'attuale Ministro per le Pari Opportunità - per cui l'eguaglianza fra cittadini prevale su ogni affermazione della diseguaglianza possibile (vedansi le pagine da me dedicate alla rilettura dell'operato di Mara Carfagna, che, auspice Bocchino, potrebbe divenire una delle future prime donne di FLI; ma, non dissimilmente, le riflessioni sulla figura di Vladimir Luxuria, antesignane di riflessioni omologhe nei confronti d'un Nichi Vendola).

Si pensi alle critiche rivolte alla magistratura genovese per non aver indagato, oltre che nei confronti dello stesso ceto militare a sostegno di Fini, anche nei confronti dei facinorosi e black block che misero a ferro e fuoco la città nel tragico 2001. Anche in questo caso, lungi dall'essere una difesa a spada tratta di chi può aver eventualmente abusato del proprio potere durante quell'estate, la dichiarazione di Fini può essere letta come una ricerca della verità che vada oltre gli steccati delle vecchie ideologie, ed in cui si affermi l'essenziale principio per il quale ognuno deve essere ritenuto responsabile delle proprie azioni, senza esclusioni di sorta (vedasi la mia vecchia recensione sul G8/2001)

Si consideri, infine la coraggiosa affermazione a sostegno del popolo ebraico, dopo manifestazioni a sfondo razzista e filo-palestinese della sinistra estrema in Torino. Si tratta, con ogni probabilità, della più coraggiosa presa di posizione nei confronti di posizioni cripto-razziste tipiche del pensiero dissidente, dove l'antisionismo si riflette in nuove riletture dei rapporti economici in medio oriente, con il rischio di una ricaduta negli errori dell'ultimo, e negativo, Mussolini del 1938 (vedasi, anche al riguardo, la mia recensione al libro di Fiamma Nirenstein, come pure le mie critiche al pensiero anarchico e di Bakunin in particolare).

La figura di Fini, e qui vado a concludere, giustificando anche il mio ritorno sul sito, rappresenta dunque il compendio, del pensiero moderato che, al di là di letture critiche attribuibili ai miei precedenti saggi, avevo cercato di introdurre su Debaser e che sto portando avanti nella mia nuova attività di spin-doctor di una sinistra che sappia dialogare con i ceti moderati, ben rappresentata da giovani di vaglia come Matteo Renzi. Non credo, per onestà intellettuale, che Fini sappia e voglia essere leader di una sinistra del genere, come richiesto da alcuni e come obiettivamente smentito da una pubblicistica simile a quella che esamino. Penso, nondimeno, che molti elettori di sinistra, delusi da D'Alema, Veltroni o Bersani e dall'immobilismo perdurante di questa parte politica, apprezzando la capacità di un Fini, possano eventualmente sostenere la sua lotta politica nell'ambito di uno schieramento moderato di centro-destra, che, da sempre, ha saputo parlare e dialogare con la sinistra, e "da" sinistra, come confermano le osservazioni di poc'anzi.

Del futuro non sappiamo dire; della libertà neppure. Resta il piacere d'aver anticipato, su Debaser, i tempi, e di aver preso sul serio la realtà ben prima che la realtà prenda a fare sul serio (vedansi i recenti rumors sulla futura leadership di Marina Berlusconi, certamente rafforzata dalla fiducia testè ottenuta dal Presidente del Consiglio), ad onta del berciare dei più.

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