E' vero, lo vedo benissimo che ci sono già due recensioni di "August And Everything After", ma prego i più severi di chiudere un occhi principalmente per due motivi: 1. credo che ognuno abbia il suo modo di vivere e di leggere questo album; 2. questa non è propriamente una recensione, è un racconto, la storia di "Mr. Jones", così come narrata nella canzone e completata grazie all'aiuto delle interviste rilasciate da Adam e tradotte e raccolte amorevolmente nel sito http://crowsitalia.altervista.org. Che emerita cazzata, direte. Forse sì, ma credo che cercare di capire cosa avesse in testa Adam nel periodo in cui scrisse queste canzoni sia importante per capire l'album in sè. Poi questo racconto è comunque una mia opinione. In ogni caso, valutatela un po' come volete, per me è sufficiente l'averla pubblicata (sempre che me la passino). Chiedevo appunto ai più severi di chiudere un occhio principalmente per due motivi, perchè un terzo, riguardo al fatto che si tratta di un doppione, potreste trovarlo voi: magari vi piace.

Mr. Jones

La scritta al neon "New Amsterdam" lampeggiava male. La prima "e" dava fiochi segni di vita, la seconda invece se ne era andata, forse anche per sempre. I rumori da dentro il bar erano i soli del quartiere, se per quartiere intendiamo quell'agglomerato di baracche che circondava il "New Amsterdam". Faceva una gran tristezza, ma per una sbronza era più che sufficiente.  Io e  Marty entrammo a passo compassato, il solo che due ragazzi sfigati senza un'ombra di ragazza e con una voglia matta di annegarsi nell'alcool possano avere. All'interno non era male: le voci che avevamo sentito erano quelle di un vecchio chitarrista che gracchiava con la sua voce da fumatore sessantenne e del suo coretto di altre sessantenni, a ritmo di flamenco. Anche loro avevano visto tempi migliori.Prendemmo la via del bancone e sedemmo su due sgabelli, aspettando il barista, assorto in una fitta discussione con un tipo tutta barba e pancia. Parlavano amichevolmente, ma ero troppo scazzato per starli a sentire.

-Hey, l'hai vista quella?- fece Marty d'un tratto. Ammiccava con lo sguardo ad una di due ragazze che ballavano a centro pista. Non le avevo notate. Indossavano vestiti lunghi, ma larghi per permettere loro di muoversi. La gonne si agitavano convulsamente, sballottate a destra  a sinistra dai movimenti delle ragazze. Marty parlava della danzatrice bruna, forse era carina, non lo so, quello che avevo bevuto cominciava ad entrarmi in corpo e mi annebbiava il cervello. Non so cosa fosse ma sembrava forte: "Offro io", aveva detto Marty.

Tutto aveva preso a muoversi a scatti, le luci si accendevano e si spegnevano a scatti, anche la chitarra andava a scatti. Le note arrivavano forti alle mie orecchie e mi tartassavano i timpani che imploravano il silenzio. Ma Maria era troppo bella per andarsene in quel momento. -Ti sta guardando- disse ancora Marty. E rideva. Doveva aver preso lo stesso che avevo bevuto io. -Non dire cazzate! Sta guardando te...- gli feci io, ed ero convinto di quello che dicevo. Eravamo molto tristi, perché per arrivare a quel punto, in quella misera situazione, dovevamo esserlo per forza. Eppure Maria era sul serio bella e non capivo se ammiccasse a me o a Marty, forse a nessuno dei due. Anzi, sicuramente. Ora si avvicina al chitarrista gracchiante, gli parla all'orecchio e dopo poco il tipo cambia canzone, sempre flamenco.

-Ti immagini Marty, se fossimo delle rockstar quelle ballerine ci salterebbero addosso-. A quel tempo ero convinto della maggior parte delle cose che dicevo. -Sai Marty, voglio comprarmi una chitarra grigia, te l'immagini che figata una chitarra grigia sul palco, con tutte le luci che la colpiscono e che con i riflessi illumina la stanza?- Ero partito, a quel punto. Marty prima mi guarda strano, un po' come a dire "Che cazzo stai dicendo", poi sorride, poi ride e dice: -Sì! Sì! Proprio come Bob Dylan!-. Non credo Bob Dylan abbia mai avuto una chitarra grigia, ma poco importava perché Marty aveva capito il concetto, perché Bob Dylan era famoso, e io volevo essere famoso. Non ditemi che non avete mai sognato di salire su un palco e cantare le vostre canzoni davanti ad un fottio di persone; beh, io sì, e l'idea, cazzo, mi fa impazzire! E voglio accendere la tv e vedermi là che sorrido alla telecamera con centinaia di danzatrici di flamenco attorno e 100000 persone davanti che mi guardano, urlano e si strappano i capelli per me. Voglio essere Bob Dylan e diventare famoso con la mia chitarra grigia e le mie danzatrici di flamenco. Voglio essere qualcuno di cui la gente si ricordi il nome. Voglio non aver più bisogno di suonare in quei pub del cazzo "capienza massima: 50 persone". "Noi siamo i Counting Crows!" voglio urlare e sentire le ragazzine piangere invocando il mio nome e pregando Dio di dare loro un orgasmo anche solo guardandomi. Non voglio più essere uno sfigato. Voglio la fama, voglio le donne, voglio che la gente ricordi chi sono: "Io sono Adam Duritz! E noi siamo i Counting Crows!", voglio poter urlare.

Tornai a casa tardi quella notte, presi lo stesso carta e penna per buttare giù qualcosa. La testa stava per scoppiarmi, ma dovevo per forza scrivere. Dovevo farlo subito, da sbronzo, o tutte quelle emozioni sarebbero fuggite via con la sbornia. E mentre scrivevo quella canzone, vedevo sul serio le cose che scrivevo. Mi vedevo davvero in TV, ma questa volta il palco era vuoto, nessuna danzatrice;  solo io e la mia band e davanti a noi le stesse 100000 mila persone, e vi giuro che nel silenzio della mia casa lo urlai sul serio: "Io sono Adam Duritz! Noi siamo i Counting Crows! E questa... questa... è Mr. Jones! Sha la la la la la la!"

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