Il Rock.
Una parola che racchiude in sé tantissimi significati, che regala emozioni infinite e che verosimilmente è “un qualcosa” difficile da spiegare a parole.
Perché “rock” non vuol dire solo ribellione sociale o passione adolescenziale. Non vuol dire solo energia immortale o pura adrenalina. Non sta a catalogare un semplice genere musicale, ma è “qualcosa” che da sempre è andata a braccetto con i grandi avvenimenti della storia umana, evolvendosi come e nel momento in cui l’umanità si è evoluta. È qualcosa di astratto, come i sentimenti. L’amicizia, l’amore, la speranza, la felicità, la tristezza, la bellezza. Sentimenti che ognuno di noi prova in modo soggettivo e in diversi momenti, difficili da spiegare... come il rock e la sua essenza.

Perché il Rock non è solo LA musica rock.
È la parola che non deve mancare nella musica.

Ora, non sto di certo qui a fare il poeta o il sentimentalista, né sto qui a fare il moralista. Mi sembrava semplicemente il modo più giusto per incominciare a recensire questo stupendo disco, includendogli così il giusto tributo.

Disco splendido dicevo, che nessuno dovrebbe mai omettere dalla personale lista dei «preferiti».
I Counting Crows, originari di S.Francisco, partoriscono questo disco nel settembre del 1993, anni in cui spadroneggiava il fenomeno grunge.
Ma poco contava il periodo e il genere che dominava la scena musicale: questo capolavoro apparirà sempre vivo e attuale, donando sempre l’analogo, piacevolissimo effetto, grazie soprattutto all’enorme pathos e al clima nostalgico che possiede dentro di sé.
“August And Everything After”, miscuglio di roots rock, folk, country e blues, non poteva essere debutto migliore per i sei americani, svaniti completamente con gli ultimi e banali lavori.
Un album pieno di emozionanti sfumature, carico di nostalgia che pesca nel classico rock e che la bravura dei sei nel saper creare un sound rievocativo e la voce penetrante di Duritz, figura principale della band, rendono ancor più intenso.

I Crows formano una specie d’orchestrina campagnola con tanto di mandolino e fisarmonica, che impreziosita dall’organo Hammond di Gillingham, dalla trepidante chitarra di Bryson e da un uso del piano sempre azzeccato, spazia tra melodie malinconiche, atmosfere “americane” e passaggi groove.
Ogni brano dell’album ha una storia a sé, concettualmente e melodicamente parlando. Gli undici episodi filano con semplicità e in modo genuino tra sinceri arrangiamenti, preziosismi vocali e meravigliosi inserti melodici. La voce di Adam rapisce, narrando attraverso testi fatalisti che penetrano l’animo umano fino ad arrivare laggiù, nel cuore, storie di provincia, speranze, delusioni, amori giovanili e drammi quotidiani.
Incominciando dalla dolcezza di “Round Here”, alla hit “Mr.Jones”, alla nostalgica “Perfect Blue Building”, finendo con i ritmi di “A Murder of One” . E poi “Omaha”, “Anna Begins”, “Ghost Train”, “Rain King”, “Sullivan Street”, “Time and Time Again”, “Raining in Baltimore”.
Tutto il disco insomma. Non c’è nulla che non meriti di essere citato in “Agosto e tutto ciò che c’è dopo”.

Un masterpiece della musica rock in generale, realizzato da una band di gran classe, quali i Counting Crows, prima alfieri del ritorno al “roots rock” americano ed in grado di combinare insieme sonorità mainstream e alternative, poi impudentemente commerciali e banali.

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