"Dusk... And Her Embrace" e "Cruelty And The Beast" sono considerati quasi all'unanimità come i picchi più alti dell'Opera dei Cradle Of Filth: abbastanza simili nella struttura, sono però due album diversissimi, quasi antitetici per quanto riguarda l'atmosfera e il messaggio trasmesso: l'Abbraccio del Tramonto è il disco delle divinità notturne, dei cimiteri e delle foreste della Carpazia, dei castelli tenebrosi e dell'amore vampirico "corrisposto", per farla breve, un disco arioso e quasi "positivo", un concept album in senso piuttosto lato, senza una vera e propria trama con un inizio e una fine a fare da filo conduttore: "Cruelty And The Beast" invece è il disco del sangue, della malvagità nuda e cruda, della perversione spinta al limite estremo: qui c'è una trama, e la star è la Contessa Elizabeth Bathory, che come una vera e propria diva campeggia sulla copertina e su tutto l'artwork, sempre e comunque accompagnata dal sangue, l'elemento che impregna la penna del piccolo grande Bardo Dani Filth nello scrivere queste liriche di passione morbosa e di vampirismo parossistico.

La più grande somiglianza tra "Cruelty And The Beast" e il suo illustre predecessore è la presenza nei primi tre posti della tracklist (escludendo l'intro) di tre suite destinate a diventare dei veri e propri cavalli di battaglia dei COF: il trio "Heaven Torn Asunder"-"Funeral In Carpathia"-"A Gothic Romance" rimane ineguagliato e ineguagliabile, ma questi corrispettivi bathoriani lasciano ben poco a desiderare: "Thirteen Autums And A Widow", il biglietto da visita della sanguinaria contessa, dove per la prima volte nella storia della Culla dell'Oscenità sono le chitarre a fare la parte del leone, lasciando a cori e orchestrazioni un ruolo di semplice contorno, la celeberrima "Cruelty Brought Thee Orchids": cupa, potente, con poche e ben calibrate aperture melodiche e cambi di tempo a dimostrare una tecnica e una perfezione compositiva degna dei migliori Dream Theater, e infine "Beneath The Howling Stars", a cui spetta il gravosissimo compito di non far rimpiangere "A Gothic Romance": qui le orchestrazioni tornano a farsi sentire in tutta la loro magnificenza e il loro fulgore, accompagnando la voce di del Bardo e quella di Sarah Jezabel Deva in alcuni squarci melodici di sublime bellezza sospesi tra "Dusk" e "Midian", dando così vita ad una delle espressioni più alte e potenti della Filthy Honeymoon. Da qui in poi l'album si stacca definitivamente dalla falsariga del predecessore e imbocca la definitiva svolta verso i truculenti abissi della crudeltà bathoriana: due minuti e venti secondi, questa è la durata di "Venus In Fear": orchestrazioni soffuse ed ipnotiche, gli ansimi voluttuosi della Contessa e le urla terrorizzate delle vittime: a tutt'oggi questo intermezzo strumentale rimane l'episodio più crudo, violento ed esplicito di tutta l'Opera dei Cradle Of Filth, cha da il la all'escalation che porterà all'apice assoluto di "Cruelty And The Beast": "Desire In Violent Overture", con i suoi riffs granitici e la sua batteria martellante e "The Twisted Nails Of Faith", con il suo attacco riverberato e distorto, che prelude alla fine dei giorni di Elizabeth, che arriva con la suite filthiana per eccellenza: "Bathory Aria", 11 minuti di grandiosa malinconia e malinconica grandiosità, una meraviglia che inizia come una serenata al chiar di luna e finisce con l'epitaffio della Contessa, che sfocia nella sublime marcia funebre "Portrait Of The Dead Countess": qui finisce la vicenda terrena di Elizabeth Bathory, ma la morale, il messaggio che i Cradle Of Filth vogliono trasmettere con questo disco è che il male e la crudeltà sono comunque insiti nella natura umana, e quindi i "mostri", come Elizabeth Bathory o Gilles de Rais sono destinati a vivere per sempre nei ricordi e nelle leggende; ecco quindi  che a chiudere l'album è la rocciosa e folgorante cavalcata "Lustmord And Wargasm", che con il suo indomito impeto sonoro consegna ai posteri le gesta e la leggenda di Elizabeth Bathory, destinata a vivere in eterno.

"Cruelty And The Beast" è, insieme al suo alter ego DeRaisiano "Godspeed On The Devil's Thunder" e a "Damnation And A Day" il disco più difficile della Culla dell'Oscenità, che necessita tempo e pazienza per essere pienamente compreso in tutta la sua impervia e drammatica potenza. "Dusk... And Her Embrace" e "Midian" sono a mio avviso un po' più completi e rappresentativi dell'eclettismo dei Cradle, ma canzoni come "Beneath The Howling Stars" e "Bathory Aria" sono da considerarsi a pieno merito tra i massimi capolavori di una band che meriterebbe molto più rispetto e considerazione da parte della critica e del pubblico, perché saper scrivere testi come quelli di Dani Filth e arricchire il sound con elementi sempre nuovi e accattivanti, in qualche caso anche più orecchiabili e accessibili non vuol dire essere dei poser, vuol dire essere anni luce avanti rispetto alla (pessima) media di questo genere, e si sa che il talento suscita inevitabilmente invidia. In ogni caso, meglio la Culla dell'Oscenità, capace di creare un po' di sano sconcerto, ad esempio con la cover di "Temptation" piuttosto che i vari altri gruppi (evito di fare nomi) che da vent'anni ci propinano le stesse fregnacce, ad ogni giro sempre più imbarazzanti e avvilenti.

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