Tacco 12 o Trampoli di Cristallo, poco importa se il passo è veloce e radente taglia l’aria e semina vibrazioni elettriche. Il passo è veloce e non lascia esitazione, è diretto al Night Club in fondo alla strada. Si’ soffrire è veramente una debolezza quando possiamo fare qualcosa di meglio. Non è bene che tutti leggano le pagine che seguono; pochi soltanto potranno assaporare senza pericolo questo frutto velenoso. Per te è malinconia, per me è dolcezza sotterranea e suburbana, anni 80 sepolti vivi in alcove sotterranee tra fumi, latex e Systers Of Mercy. Per te sarà un’ ossessione, per me è fiducia.

Come immergersi tra quelle scintille Jangle Pop di Crystal Stilts, nel loro EP di debutto omonimo del 2005, sound scintillante dal retroterra di uno scantinato di periferia, rosa dei venti di suoni conturbanti e dominati dal timbro magnetico e gutturale del lead singer Brad Hargett. Balzando nelle oscurità sotterranee di un oblio riverberato, il rock’n roll è stato una dorata truffa e tutti hanno riciclato dal vicino di casa, ma qui non esiste furto con scasso ma mani leste ed invisibili che svuotano nobili tasche del post punk d’Albione tra nuvole di Lachgas, tutti avvolti in una nuvola di isteria, di riso e scherno. Shaun Ryder ballare Beginning To See The Light con una tuta da lavoro XXL, Jesus And Mary Chain a palla in loop bloccati su un ascensore per l’Inferno, Ian Curtis ospite a Discoring.

I Joy Division che suonano come una band di Indie Pop con chitarre Sears da 80 Usd.

Metti un riff rockabilly, mescola e aggiungi melodie da scuola materna newyorchese, su una linea di basso accelerata, infine un velo di un dolce riff di organo surf anni '60. Manca ancora il timbro ossessivo e dolce di Brad Hargett, eccolo allora liberarsi l’Armageddon perfetto. I suoni ci danno dentro ma vi è uno spazio bianco attorno; un sottovuoto albera come nelle pagine più sbiadite di The Pale Fountains, qua e là. E quindi anche quel senso di distanza, anche una radical chic sorta di distacco dall’intera disputa, tipo la Gruber in Tailleur griffato che commenta la fame nel mondo. Colonna sonora di carnevali surreali vissuti tra Picasso e Tristan Tzara dalle umide e grondanti bassezze di un tombino, la luce una piccola stella intermittente tra ragnatele e fili di oscurità, colonne sonore di surreali carnevali. Quel genere di mondi che quando sei sveglio si è incerti se sia incubo o meno ma quell’oscuro universo che germina sfiziose dipendenze, e poi suoni di organi Casio malandati e sbilenchi e drum machine. Il garage Pop fedele che si affida al mono/artigianal schema che lo porterà inevitabilmente ad una giocosa sconfitta, quell’aggrapparsi a quel groove istrionico e farsi trascinare via e lontano prima che il mondo esploda. Scendere scendere nelle viscere della terra e dei sogni, scendendo quei ripidi gradini dalle sommità della Gioconda Danza del commercio, a piedi nudi, scoprire tra le note martellanti di Converging The Quiet quel party underground e sotterraneo, quel pastiche di note e quella bass line danzante riverbero di frammenti di memoria passata e dimenticata, di notti degli Eroi sommersi e cullati dalla bellezza notturna di un cielo greco.

Patricia Morrison che ti fulmina con lo sguardo al centro della pista e che viene verso di Te..

Quella danza coordinata e scoordinata, a tratti epilettica, fino all’Alba.

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