Quanto è difficile ascoltare il metal quando in giro ci sono i metallari, quelli che odiano i metallari ma ascoltano cagate e quelli che odiano il metal a causa dei metallari. Col black metal è ancora più difficile non sembrare dei mentecatti, perché sapete le chiese, satana, Kristian Vikernes, testi ridicoli, inglese scadente, loghi orrendi, animali da cortile a casaccio... ma la cosa divertente è che i gruppi black musicalmente più dignitosi sono proprio quelli che non sono mentecatti satanistoidi bensì semplici rocchettari che hanno giocato troppo a Super Castlevania IV per lo SNES (qualcuno ha detto Immortal?).

Un altro grande nome black metal che ancora adesso fa buoni dischi sono proprio i Darkthrone. Che no, non è vero che si sono rincoglioniti dopo Panzerfaust. E si sono sempre divertiti un sacco: quello sghignazzo e quel cow-bell all'inizio di In the Shadow of the Horns direi che parlano chiaro. E insomma, se qualcosa è contenuto in A Blaze in the Northern Sky allora è automaticamente TRVE. Se invece no, se mi dite che le cose TRVE sono quelle contenute in Aske di quel pendaglio di forca di Burzum (sulla cui qualità peraltro non ho nulla da ridire), allora non solo non voglio più essere TRVE, ma vi auguro di fare la fine di Kristian Vikernes e diventare uno youtuber.

Tornando alle cose serie, i Darkthrone ci hanno insegnato che divertirsi è TRVE, che un genere da adolescenti esaltati come il metal (tutto) senza la libertà di fare il cazzo che si vuole diventa qualcosa degno dei trentenni depressi che scrivono stronzate sotto i post su facebook di Mentana e soprattutto che il casino e la sporcizia sonora sono valore aggiunto in qualsiasi disco. Ed ecco quindi Old Star, il diciassettesimo disco in studio dei Darkthrone uscito proprio nel 2019. Ed è un bel disco. Diamo il bentornato a questo putrido heavy metal blackeggiante (o black metal heavyeggiante), molto più dinamico della maggior parte del black ortodosso, niente chitarre zanzarose transilvane o blast-beat; troppo zozzo per essere semplice heavy, sono finiti i tempi del falsetto di The Underground Resistance e Nocturno Culto qui ci dà dentro con lo screaming.. Benvenuti a voi, rallentamenti esplicitamente doom, benvenuti riff presi in prestito dagli AC/DC, benvenute strizzate d'occhio alla NWOBHM, benvenuti anche a voi, Celtic Frost appesi al muro della sala di registrazione come i Lari e i Penati nelle domus romane, ma voi ci siete sempre stati. Un dischetto in cui si riversano trent'anni di esperienza (e di crudeltà, perché no), in cui il proto-black primordiale che Fenriz ascoltava al liceo prende nuova forma e vesti moderne e torna a turbare il sonno di coloro che ascoltano i Vampire Veekend.

Voto: TRVE/100

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