Siamo nel 1971. Nello stesso anno di The Man Who Sold The World esce anche Hunky Dory. E la copertina parla chiaro: non è più possibile rendersi conto se Bowie, nella finzione dell'immagine pop-art, ma soprattutto nella realtà, sia un uomo o una donna. L'artista accede manifestamente al glam-rock nascente (soprattutto grazie all'opera dei T. Rex di Marc Bolan), ma il suo contributo sarà determinante nel rinnovamento del genere.

Pop spregiudicato, deturpazione del country americano, un'estetica basata sull'ambiguità e il trasformismo. Ecco dunque la celebre Changes, inizio folgorante di un album destinato a lasciare un segno nell'intera storia del rock. Semplicemente Changes, semplicemente cambiamenti. Semplicemente valutazioni sulle trasformazione, modificazioni, maschere da indossare nella vita. Ed è proprio una maschera quella indossata da Oh You Pretty Things, secondo brano e classico del disco. La ballata si traveste di disimpegno musicale caratterizzato da semplice sfuggevolezza, ma ciò che è sostanza sono la voce distorta, il tono spregiudicato e derisorio: Bowie assume le vesti androgine di Bowie e ciò che rimarrà sarà traccia indelebile nel glam rock. Segue poi la ballata Eight Line Poem sulla ritmica sincopata di un pianoforte delicato e brevi linee di chitarra. In tre pezzi Bowie dà prova di un cantato impostato su tre registri vocali totalmente differenti. Ma il meglio deve ancora arrivare.

Life On Mars?. Difficile non apprezzare questo brano. Sia dal punto di vista di un esperto critico musicale sia dal punto di vista di un profano del rock assuefatto dalle canzonette di Robbie Williams. Le orchestrazioni maestose, uno dei ritornelli più belli e convincenti della storia, arrangiamenti perfetti nella loro efficacia espressiva. Il tutto pervaso dal testo visionario caratterizzato da personaggi come John Lennon e Mickey Mouse. Naturalmente c'è anche altro: il brano spazia dalla parodia all'ibridismo dei generi, lo sprofondamento nel consumismo viene dichiarato nel momento in cui la finzione di un film diviene più rassicurante della realtà stessa.

Allora. Conclusione. Life On Mars? è la canzone più bella mai scritta da Bowie. Forse è vero. Ma forse invece è solo una tappa del suo volubile percorso dalle molteplici facce (o maschere). Non dimentichiamoci che l'anno successivo David Bowie avrebbe pubblicato un altro capolavoro. La straordinaria rock-opera sulla seguente trasformazione dell'artista in Ziggy Stardust di cui Life On Mars? ne è chiaramente l'anticipazione.
Kooks, è dedicata al figlio Zowie, è un motivetto dall'ascolto semplice caratterizzato da chiare e genuine apparizioni di tromba opera di Trevor Bolder. E' una ballata acustica anche la successiva Quicksland, ma le atmosfere sono più cupe e il testo si connota di riferimenti oscuri. Straordinarie ancora le orchestrazioni di Mick Ronson, così come lo è il lavoro al pianoforte di Rick Wakeman, futuro tastierista degli Yes. Ancora Wakeman accompagna la voce sgraziata di Bowie in Fill Your Heart (cover di una canzone composta da Biff Rose). Brano dal ritmo altalenante così come i segmenti melodici tracciati dai fiati e dagli arrangiamenti.

Segue la trilogia dedicata ai personaggi la cui influenza è stata determinante in questa prima fase della carriera Boweiana. Si comincia con Andy Warhol, e l'inizio è delirante. Sulle ultime note del brano precedente il cantante comincia a pronunciare in stato quasi maniacale il nome dell'artista ideatore della pop-art. Poi comincia questa ironica e profanatoria canzone in veste amatoriale, benché l'intento sia manifestamente affezionato. Song For Bob Dylan è ancora più intimista. Bowie assimila il folk-rock dylaniano e lo stravolge per argomentare l'idea che Dylan stia perdendo il suo ruolo-guida che lo aveva caratterizzato nel decennio precedente. Queen Bitch è dedicata a Lou Reed, ma è più che semplice tributo. Bowie canta come Reed. Reinterpreta la lezione degli ex-Velvet Underground, ma con una differenza: il suo stile è già glam. E' significativa in proposito l'imminente inversione dei ruoli, quando anche Lou Reed abbraccerà il genere glam, e si sentirà in debito con David Bowie. La chiusura del disco è affidata a The Bewlay Brothers, un brano pseudo-psichedelico a tratti folk e dall'atmosfera claustrofobia. Non può che venire in mente Syd Barrett, altro grande ispiratore del disco, anche in virtù del fatto che il testo è incentrato sul fratellastro del cantante, Terry, soggetto a cure psichiatriche.

Certo, quando si parla di un disco di David Bowie, limitarsi a descrivere i brani può essere davvero  riduttivo. L'influenza dell'artista si è riversata negli ambienti sotterranei della Swinging London, per poi rivelarsi nei grandiosi album spiccatamente Glam dei Roxy Music o di Lou reed. Ma questo album, va ribadito ancora una volta, è solo una delle tappe dell'evoluzione discostante di un artista che ha sempre voluto sorprendere con le sue trasformazioni. Ricordiamolo, non sarebbe passato nemmeno un anno e David Bowie avrebbe indossato la maschera dell'alieno caduto sulla Terra. Un pianeta così pregno di immagini e suoni. Così caotico nei suoi significati.

E dalle così estreme e eccessive conseguenze: dall'alienazione schizofrenica di Syd Barrett al consumismo conformista di Walt Disney.

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