Hunky Dory: quando la leggerezza raggiunge il metafisico.

Accantonato il pop godibile ma di scarso impatto di "Space Oddity" e superata l'esperienza commercialmente modesta di "The Man Who Sold The World", opera troppo avida di singoli scalaclassifiche per poter riscuotere il benchè minimo successo di mercato, il giovane Duca Bianco vede in "Hunky Dory" l'ultima possibilità per plasmare una volta per tutte il suo genere, il suo stile, e, elemento non meno importante, la sua immagine. Malgrado i tempi non siano maturi per le cavalcate elettriche al limite del punk ("Star", "Hang On To Yourself", "Suffragette City", "The Jean Geanie") che caratterizzeranno i celeberrimi dischi successivi "Ziggy Stardust" e "Aladdin Sane", la critica (me compreso) è concorde nel ravvisare nel disco in parola una forme embrionale di quello stile glam rock che verrà piu finemente elaborato negli anni a seguire. Qui tuttravia a prevalere sono le deliziose atmosfere romantico cabarettistiche e quell'intrigante non so che di antico che conferiscono all'opera un fascino tutto particolare. Se amate il Bowie che alza la voce accompagnato dalle corde vibranti della chitarra satura di Mick Ronson e dalle pelli martoriate delle percussioni di Woodmansey, questo disco non fa per voi; ma se volete scoprire il lato piu romantico e intimista di un Bowie che gioca l'ultima carta per rimediare un posticino nell'Olimpo delle star, correte ad aquistarlo.

Protagonista indiscusso di (quasi) tutti i pezzi è il dolce accompagnamento di pianoforte in cui David è maestro, interrotto però dalle incisive staffilate chitarristiche del fido Ronson. La facciata scanzonata del pezzo d'apertura ("Changes") nasconde in realtà un'amara riflessione sull'esigenza di rinnovamento dell'immagine e dello stile dell'artista: le frequenti metamorfosi che scandiranno le tappe della carriera del Duca Bianco (personaggio che in realtà emergerà solo con "Station To Station") terranno sempre il passo rispetto alle tendenze e alle "mode" del momento, offrendo di Bowie l'immagine di un abilissimo trasformista capace di cavalcare i gusti e gli umori incostanti del grande pubblico. "Oh You Pretty Things" alterna la soffice suite pianistica della strofa ad un ritornello marcatamente piu cadenzato e intriso di oscuri riferimenti nietzcheani. Superato il breve ma intenso interludio pianistico di "Eight Line Poem" ecco quattro semplici accordi di piano inaugurare il classico per eccellenza, "Life On Mars": un ammaliante crescendo introduce il roboante ritornello scandito dalle note di un rassicurante tappeto di violino. Capolavoro assoluto. Il summenzionato sapore romantico-decadente che attraversa l'intera opera vede il massimo sfogo nella successiva "Koocks": il testo piu delirante dell'album è disteso in un'orecchiabilissima melodia morbida e filastrocchesca, accompagnata dalla suadente linea di basso di Bolder e dagli acuti accordi danzanti del piano di Bowie. Un arpeggio di chitarra di derlicatezza ammaliante introduce poi la perla segreta del canzoniere bowieano: "Quicksand". Mai proposto dal vivo, il brano offre la massima prestazione vocale dell'album e si avvale di un poderoso accompagnamento batteristico di Woodmansey. Il delizioso intermezzo vagamente jazzistico di "Fill Your Heart" (composto dall'americano Biff Rose) regala uno dei momenti piu graziosi del disco: la melodia fresca ed orecchiabile e l'arrangiamento minimalista infondono nell'ascoltatore una sottile malinconia. I tre pezzi che seguono sono fondamentali sia per l'economia del disco sia per il complessivo repertorio bowieano: se "Andy Warhol" suona da scanzonato e dissacrtante dileggio del vanitoso artista newyorkese reso irresistibile dal trasognato arpeggio acustico del fido Ronson, "Song For Bob Dylan" incarna la (all'epoca) diffusa sensazione di un rammollimento del ruolo di guida universalmente riconosciuto a Mr. Zimmerman. Dedicata all'amico Lou Reed, "Queen Bitch" sembra introdotta nella scaletta al solo scopo di soddisfare la mai sopita vena hard degli Spiders: un tesissimo riff distorto inaugura una fedele imitazione della voce dell'all'epoca misconosciuto rocker d'oltreoceano.

Assimilata la lezione dei Velvet Underground Bowie sembra qui voler offrire un'anticipazione dell'imminente capolavoro "Transformer". La sinistra "The Bewlay Brothers" rompe l'illusione di una chiusura facile dell'opera compositivamente piu alta dell'età aurea del Duca Bianco: negli anni a seguire David raggiungerà vette insospettate, ma difficilmente riuscirà a riproporre un'arte di tale ammaliante ingenuità, metafisica leggerezza.

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