E’ da un po’ che volevo scrivere qualcosa su questo disco. Ultimamente – per celebrare degnamente la dipartita del duca bianco - me lo sono riascoltato per bene e sono stato confortato nel constatare che il giudizio che mi feci quando uscì non è cambiato. Rimane un bellissimo disco, un cupo e torbido hyperThriller firmato Bowie-Eno, schizofrenico e sperimentale.
Progettato per essere il primo di una serie di album che avrebbe dovuto catturare l'angoscia di fine millennio in un sottobosco urbano devoto a nuovi culti pagani, il concept ruota attorno ad una storia di intrighi e omicidi intitolata "Il diario di Nathan Adler o dell’Omicidio Artistico-Rituale di Baby Grace Blue” inclusa nel booklet del disco.
Già da questo si capisce che l'album non è affatto easy listening, presentando tutta una serie di sfide per l'ascoltatore, soprattutto perché la natura volutamente non lineare dell’opera costringe a riunire, come un puzzle, una mole di impressioni sconnesse e poi mettere insieme il tutto, cercando di coglierne un senso. Bowie infatti riprende la tecnica di scrittura non lineare di William Burroughs (il famigerato cut up), che già in precedenza aveva utilizzato, ma stavolta passando dai pizzini di carta ad un più moderno software, il “verbasizer”, che gli permette di assemblare a piacimento parole in libertà
Questi testi, apparentemente indecifrabili, il frammentato diario del Detective Nathan Alder, le fotografie distorte e manipolate elettronicamente del booklet sono gli unici indizi che abbiamo per ricostruire il “caso” di Baby Grace, per cui meglio non perdere tempo ed iniziare le indagini…
L'intero ciclo inizia con Leon Takes us outside, un brano atmosferico (in cui Bowie legge le date del diario) che rende perfettamente l’idea della misteriosa atmosfera da suk mediorentale – un po’ alla Blade Runner – in cui si svolge la vicenda.
Il pezzo è tratto direttamente dalle iniziali sessions di Montreux del 94 (insieme a Reeves Gabrels, Erdal Kizilcay, Mike Garson, al batterista Sterling Campbell ed al grande Brian Eno) ispirate dalle "strategie oblique" di Eno ed agli esperimenti dello psichiatra Leo Navratil che, in quegli stessi anni a Vienna, incoraggiava i suoi pazienti a dipingere e a dedicarsi ad altre attività artistiche per fini terapeutici.
Leon diventa anche il nome del primo personaggio evocato da Bowie, un ventiduenne meticcio con una breve stringa di precedenti penali per reati di microcriminalità, che, oltre ad essere uno degli indiziati, è l’aggangio sfruttato dal detective Nathan Adler (altro riferimento alla psicanalista Alfred Adler?), che lavora nella sua divisione “crimini artistici” dell’immaginaria città di Oxford Town, per indagare sul delitto. Ma è comunque “al di fuori” che bisogna uscire.
All’apertura dell’album segue in dissolvenza la title track (Outside), un’epica overture realizzata nei primi mesi del ’95 sulla base di una precedente canzone dei Tin Machine (Now) il cui testo non era mai stato completato. Eccezionale incipit, di chiara marca ENO (penso ad es. all’inizio di “Zooropa” degli U2): Una lenta progressione di accordi ascendente che lascia il posto ad un inquietante linea di basso ed alle prime parole dell’album, cantate con magistrale distacco da Bowie:
Now. Not tomorrow
Yesterday
Not tomorrow
It happens today
The crazed in the hot-zone
The mental and diva’s hands
The fisting of life
To the music outside
The music is outside
It’s happening outside
In The Hearts Filthy Lesson Nathan Adler si trova davanti al cadavere della quattordicenne Baby Grace, smembrato, dissezionato ed esposto nel Museo di “Modern Parts” di Oxford Town e si chiede se quello che vede possa veramente definirsi un'opera d'arte (chiara qui l’ispirazione alle repellenti opere di Damien Hirst -anche citato nel booklet - che in quegli anni cominciavano ad essere conosciute con grande scalpore). Ad un certo punto si rivolge al personaggio-chiave di Ramona A. Stone.
“Femmina caucasica” di circa 45 anni, che si mantiene facendo la trafficante di droga e la “Futurista Tirannica”, con nessuna condanna finora a suo carico, Adler la conobbe per la prima volta nel quartiere turco di Berlino il 15 giugno 1977 – guarda un pò da quelle parti bazzicava anche Bowie con Iggy Pop –, quando lei era una punk con le borchie, sacerdotessa del Tempio del Suicidio Caucasico, e “vomitava la sua dottrina della morte-come-festino-eterno nei recipienti vuoti della gioventù berlinese".
Il monologo di Adler termina confidando al suo collega Paddy la sua confusione e stanchezza ma anche la sua inconscia fascinazione davanti a quello scenario di morte (la lurida lezione del cuore, ma che, per assonanza fra “heart” e “art”, suona anche come lurida lezione dell’arte) :
Paddy oh Paddy,
I think I’ve lost my way
[…] I’m already five years older I’m already in my grave
[…]Paddy, what a fantastic death abyss
Quando canta “I’ve Think I’ve lost my way”, lasciando un momento di sospensione, traspare tutto il senso di tristezza e nostalgia per il tempo passato ma poi dagli insistenti inserti parlati finali si assapora quel quid di malsana eccitazione che attira il detective.
Ancora dalle session di Montreaux, è tratto A small plot of land, sicuramente il pezzo più avantgarde. Mentre la grancassa di Campbell mantiene un beat regolare, il pattern sincopato del rullante e le improvvisazioni di Garson destabilizzano parecchio mentre l’acido sustain di Gabrels (a metà fra Fripp e Belew) rumina sullo sfondo e Il basso di Erdal Kizilcay sembra abbandonare la canzone dopo poche battute. Bowie interviene con una specie di litania funebre ripetendo “poor soul,” “prayer can’t,” “poor dunce,” “brains talk” sempre allo stesso modo, tenendo la prima nota e lasciando la seconda, più bassa di tono, rapidamente espirare.
Segue il primo dei brevi frammenti vocali rubati ai vari personaggi, tutti interpretati dalla voce di Bowie, opportunamente filtrata da Eno. Non bastasse la struttura arzigogolata del concept questi benedetti "segue" sono un altro elemento che rende ostico Outside. Tuttavia, anche se è vero che senza il disco ne guadagnerebbe in compattezza, tali schegge sono comunque essenziali per la “trama” e poi la basi musicali in sottofondo, sempre diverse, non sono affatto male. In Baby Grace (a horrid cassette), ad esempio, c’è già una prima rivelazione: da una cassetta ritrovata con la voce di Baby Grace si scopre il coinvolgimento di Ramona nel suo sequestro.
Test, testing, testing
This, hmmm, Grace is my name
And and I was...um...
It was that phot... a fading photograph of a patch..., a patchwork quilt.
And they've put me on these...
Ramona put me on
these interest drugs
Il testimone ora passa a Paddy che prosegue le indagini interrogando lo "spaceboy" Leon Blank. La miglior definizione di Hallo spaceboy, firmato Bowie-Eno ma nato da un brano ambient di Gabrels chiamato Moondust, l’ha data Bowie stesso: “era come un incontro fra Jim Morrison e l’industrial. Quando l’ho risentito ho pensato: ca**o, è come i Doors metal!”
Il wall of sound creato dalla batteria techno in 4/4, raffiche di chitarre e synth è un caos letale che dona un taglio molto aggressivo al pezzo. Ma non sarà in questa la versione (poi cantata anche con Trent Reznor nel tour coi NIN del 95) che il singolo incontrerà il successo (# 12 in UK) ma col più innocuo mix dance dei Pet Shop Boys che lo trasformano in un sequel di "Space Oddity" con tanto di nuova strofa aggiunta da Tennant:
Ground to major bye-bye Tom
Dead the circuit countdown’s wrong
Planet Earth is control on?
Leon si difende in un buon pezzo drum’n’bass come I Have Not Been To Oxford Town a cui la chitarra ritmica di Carlos Alomar (presente alle sessions di NYC del 1995) regala un tocco funky. Gli ultimi secondi di "Oxford Town" sono Alomar da solo: il fidato “sideman” finalmente sotto i riflettori, che, agganciato un riff orecchiabile non vuole lasciarlo neanche morto. Curioso poi come in questo pezzo il modo di cantare di Bowie ricordi un po’ un altro David (Byrne), non so se volutamente, ma il risultato è azzeccatissimo.
The Motel rievoca il flirt fra Leon e Ramona A. Stone: forse si sono rifugiati in un motel perché sanno che Nathan Adler li sta cercando. Dico subito che, insieme alla title track (di cui riprende la progressione armonica iniziale), The Motel è il mio pezzo preferito.
La traccia inizia col rumore di fondo di un gran numero di persone che parlano (infinite conversazioni di un luogo di transizione, un limbo come, appunto, il Motel). Il piano di Garson, per l’occasione, sa essere anche romantico, il basso fretless è dolcissimo, tutto e provvisorio, vacillante anche la voce da crooner di Bowie (qui più scottwalkeriano che mai) oscilla fra due tonalità.
And there’s no more of me exploding you

Re-exposing you

Like everybody do

Re-exploding you

I don’t know what to use

Make somebody move

Me exploding

Me exploding you
La canzone ha un lento, magnifico crescendo da un arioso e rarefatto inizio ad una espressiva drammatica conclusione; prima entra la batteria suonata con le spazzole a solidificare il ritmo, poi la distorta chitarra di Gabrels arriva proprio nel momento cruciale. Proprio Bella.
Il calvario di Leon prosegue con We prick You dove finisce stesso sotto processo davanti ai membri della Corte di Giustizia.
Tell the truth
We prick you we prick you we prick you
(You show respect even if you disagree
You show respect)
Originariamente intitolato “Robot Punk”, questo pezzo jungle (con loop di batteria sovraincisi e drum machine) ha un chè di infantile: saranno i vari rumorini sintetici di Eno o le voci dei giudici così filtrate e stridule da diventare grottesche e ridicole. In concerto Bowie la presentava dicendo di essersi sentito molto giovane quando la scriveva e c’è da credergli.
No Control vede il ritorno in scena di Nathan più scosso che mai dalle pieghe della vicenda, soprattutto roso dal sospetto che la povera Baby Grace sia in realtà sua figlia (nelle pagine finali del diario Adler ci rivela che nel 1986 Ramona ebbe una gravidanza, che “avrebbe prodotto un essere che avrebbe intorno ai 14 anni di età. Se fosse ancora vivo.”. Baby Grace è quindi la figlia sua e di Ramona? Le date coinciderebbero…).
I can't believe I've no control
It's all deranged
Deranged
Deranged
Deranged è una delle parole chiave del disco e ritornerà in un brano successivo. Quanto a questo, l’ultimo composto per il disco, ha il difetto, secondo me, di essere un po’ troppo normale e pop e quindi un pò fuori contesto. Tuttavia alcuni agganci vocali (“stay away from the future” o “don’t tell God your plans” ) hanno una loro sintetica efficacia
Segue un blocco di tre pezzi in cui viene introdotto un nuovo misterioso personaggio, l’artista minotauro. Figura che ha a lungo ossessionato il cantante (che l’ha inserita anche in alcuni suoi quadri), il Minotauro è qui il controverso semidio dei riti pagani del nuovo millennio, l’artista nichilista e surrealista (“l’omicidio come suprema forma d’arte” era nel manifesto di Breton) che ha bisogno del sangue per creare (L'OSSERVATORE DELLA DISTRUZIONE TOTALE come forma di bellezza)
Non meraviglia allora che i testi a lui attribuiti siano i più perversi e disturbanti del disco. Soprattutto quelli di WISHFUL BEGINNINGS che descrivono gli approcci nei confronti della sua vittima.
Please hide from the kiss and the bite
Shame burns
Breathing in, breathing out
Breathing in only doubt
The pain must feel like snow
I'm no longer your golden boy
Sorry little girl
I'm sorry little girl
La parte migliore di The Voyeur of Utter Destruction è verso la fine, dopo il loop iniziale del sinth (sorretto dalle percussioni elettroniche e dagli arpeggi della chitarra)
Turn, and turn again
Dove Il pezzo cambia di tonalità e si indirizza verso un minaccioso climax mentre Bowie ripete ad libitum la frase Call it a day (Fermati), sempre più velocemente, fino a confondersi con Today, mentre Gabrels – nelle versioni live – piazza uno dei suoi migliori assoli.
Wishful Beginnings è un pezzo totalmente d’atmosfera, dove la malsana voce del minotauro delira su di un catatonico soundscape a metà fra un battito cardiaco ed un gracidare di rane mutanti. Nonostante tutto però la lunghezza eccessiva lo rendono ben presto uno dei punti francamente più tediosi del disco.
La sequenza termina con I’m Deranged. Questo è un bell’esempio di ispirazioni incrociate, perché Bowie non ha mai nascosto che le visioni malate di David Linch siano state una fonte di ispirazione (e soprattutto “Twin Peaks”). Dal canto suo il grande regista ha, pari pari, messo I’m Deranged in apertura del film “Strade Perdute”, sulle immagini in soggettiva di una strada che scivola davanti ai fari di un’auto sfrecciante sull’highway notturna, costruendo il miglior videoclip che questo ipnotico pezzo poteva sperare.
Se i brani del minotauro sono il cuore nero del disco, verso la fine Bowie decide di regalarci un pò di luce. in Thru’ These Architect’s Eyes Leon uscito di prigione (ha confessato il nome del minotauro?) ammira la città con gli occhi di un uomo libero.
All the majesty of a city landscape
All the soaring days in our lives
All the concrete dreams in my mind’s eye
All the joy I see
Thru’ these architects eyes
Nella finale Strangers When We Meet (in una nuova veste più in linea con il mood del disco rispetto a quella su THE BUDDHA OF SUBURBIA), Leon, stanco davanti ad un televisore sintonizzato su un canale morto, si sente tradito da Ramona (che lo aveva scaricato lo sappiamo dall'ultimo segue "Nathan Adler"):
Blank screen TV
Preening ourselves in the snow
Forget my name
But I'm over you
Blended sunrise
And it's a dying world
Così termina questo disco coraggioso, anche se discontinuo. Un secondo capitolo (2. Contamination), che avrebbe dovuto fare chiarezza (ma che probabilmente avrebbe confuso tutto ancora di più), più volte annunciato nel corso degli anni, non ha visto mai la luce. Recentemente Eno ha dichiarato di un riavvicinamento a Bowie per riprendere il progetto; purtroppo però l'uomo che cadde sulla terra è ritornato sul suo pianeta, portando con sè anche la soluzione al mistero dei crimini artistici del Minotauro.

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