Ordinare un disco rende l'acquisto dello stesso piú solenne, soprattutto se si tratta dell'ultimo lavoro di uno dei tuoi artisti preferiti.
"È arrivato!" mi ha detto il commesso ieri al telefono. Mi sono quindi alzata presto questa mattina e alle 9.00 in punto ero davanti al negozio.

Mi fa subito sorridere la copertina, un disegno di un tale Atsushi Fukui raffigurante David Sylvian conciato un po' in stile modello di Armani, non l'ho capita!
Torno velocemente a casa per il primo ascolto.
Non mi aspettavo un nuovo disco di David Sylvian ad essere sincera: ero convinta che dopo "Dead Bees on a Cake" e l'antologia "Everything and Nothing" non avesse piú molto da dire e invece mi sbagliavo di grosso.

Vorrei cominciare a cucinare ed ascoltare ma non posso, la prima traccia "Blemish" mi rapisce, mi devo sedere. La sua sempre calda e avvolgente voce quasi recita una litania su ipnotiche distorsioni elettroniche per 13 meravigliosi minuti. Canta l'amore, ovviamente, il suo tema preferito.
Si va avanti con le ancora piú minimali "The Good Son" e "The Only Daughter", scarne ed elettriche.
Forse approdando alla penultima traccia si comincia ad essere un po' insofferenti ai suoni distorti ed alla imponente presenza vocale, ma Sylvian, da maestro, chiude con il pezzo piú melodico dell'album, "A Fire In The Forest", l'unico che forse può ricondurci alla sua produzione precedente.

La ricerca e la sperimentazione, le sue grandi passioni, sono al massimo dell'esaltazione. Poco anzi pochissimo è lo spazio lasciato alla melodia, ma il risultato è eccezionale.
Importante è inoltre il fatto che forse per la prima volta non ci sono collaborazioni eccellenti, Sylvian è ormai un uomo maturo e sicuro, quindi.

Ci vorranno tempo e molti ascolti per entrare nei meandri di questo lavoro minimale e di sintesi in bianco e nero ma volevo raccontare la prima forte impressione.

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