Domanda: chi si ricorda come suonavano i primi Duran Duran? Penso tutti (almeno quelli che hanno la mia età o giù di lì). Altra domanda: chi si ricorda invece come suonavano i Japan? Già sono in meno. Un glam pop che poi col tempo sfociò in uno strano laboratorio più sofisticato e chic. Terza domanda: chi conosce David Sylvian? Quelli che conoscono i Japan ovviamente! Stupide questioni a parte, quello che mi appresto a recensire è il secondo album solista del leader del suddetto gruppo dopo che si era sciolto. L'anno è il 1984, e Sylvian sorprende tutti con un disco che ebbe del prodigioso a suo tempo, un distacco netto dalla formula Japan, usando un linguaggio artistico una tavolozza dai colori ben diversi da quelli precedenti.

Avete presenti certi dipinti di Rénoir, come la "Grenouillère"? Quegli spaccati di vita comune, un istante bloccato nel tempo e nello spazio, con quegli splendidi giochi di luce e quelle scintille di sole che danzano sulle onde del lago, tra le fronde degli alberi e sugli abiti delle persone? Immaginate un'aria così rarefatta, un'atmosfera così sospesa e solare, e trasponetela in musica: solo allora vi avvicinerete alle immagini mentali generate da certe canzoni contenute in "Brilliant Trees".

"Pulling Punches" è un pop sofisticato e colto, che si muove agile tra linee melodiche a metà tra il jazzato e certi echi lontani orientali, una ricetta se vogliamo ricordo dei Japan. E' però con la successiva traccia che avviene lo stacco.

La fumosa "The Ink In The Well" è una spettacolare carrellata di sottili pennellate su una tela che via via acquista i tratti di un dipinto tipico dell'arte giapponese. Gli alberi di pesco lasciano cadere i loro petali, che trasportati da una tenue brezza si appoggiano leggeri su un laghetto sormontato da un ponticello, sulla cui staccionata si appoggia un uomo solo, a rimirare cotanta bellezza naturale. Tutto sembra immobile e eterno, una calma sovrumana regna su tutto il paesaggio, il Nirvana forse.

Ho parlato prima di Rénoir: eccovi "Nostalgia". I leggeri tocchi di chitarra sembrano mimare il leggero tremolio dell'acqua e i riflessi del sole; l'atmosfera se vogliamo è ancora più rarefatta e distesa, il tempo è dilatato all'inverosimile, la traccia invita quasi a fermarci, a prenderci il nostro tempo per guardarci intorno, e indietro. Il ritmo prosegue con questi connotati stilistici sino al bellissimo, intenso finale, che quasi invoglia a riascoltare la traccia.

Da questa descrizione si possono ricavare utili interpretazioni anche per "Weathered Wall" e "Backwaters". La prima delle due è molto notturna e intima, forse più statica e contemplativa di "Nostalgia" ma non per questo meno bella. Leggermente più cupa invece "Backwaters", merito di uno stranissimo basso distorto e di una voce molto più profonda e impostata del solito.

Si conclude in maniera splendida con la titletrack, terzo bellissimo manisfesto della poetica nuovo corso di Sylvian. L'aria che si respira è quella fresca di una mattina d'estate in aperta campagna, con i campi e i boschi che ti si aprono davanti e tu sopra un promontorio, a contemplare il tutto. Ormai siamo all'apice della disintegrazione dell'io e della suo fusione pànica con il tutto, in una calma eterea e pulviscolare raramente raggiunta, a mio avviso, da altri autori.

La musica di Sylvian non è per tutti. Per le sue caratteristiche così ricercate, vagamente colte, dal sapore (ovviamente) new romantic e new age, non si presta a un ascolto veloce, ma abbisogna di tutta la calma di questo mondo. Dopo una dura giornata distendetevi un attimo, mettete su il disco e inoltratevi nella radura di alberi brillanti disegnata dal soffice pennello di Sylvian: vi perderete, ma ritroverete voi stessi, anche solo per un attimo.

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