Nel regno del sole morente l'apollineo e il dionisiaco si incontrano, si abbracciano e si librano su ali dorate in un volo ultraterreno, metafisico.

Il duo anglo-australiano Dead Can Dance giunto al terzo full lenght tocca il suo personale vertice artistico, coadiuvato da un' orchestra d' archi, fiati e percussioni a sostegno delle prodezze sovrannaturali della vocalità aerea e lucente di Lisa Gerrard ed al grave e solenne timbro vocale di un Brendan Perry ebbro di malinconia.

Un'ensemble irradiante atmosfere provenienti da epoche lontanissime ed arcane, un viaggio sacrale e metafisico prima di tutto, tessuto con i fili della decadenza e dello smarrimento, un pianto sconsolato che riecheggia tra rovine di civiltà ed antichi miti, mesto e notturno tra eroi dimenticati dalla storia. "Anywhere Out Of The World" è posta a sancire l'inizio del percorso all'ombra del crepuscolo, un contemplativo e oscuro mantra elettroacustico forgiato nell'eternità da fluttuanti melodie vertiginose, epici innesti siderei organistici ed il sacrale ed afflitto canto di Perry, trasfigurato tra austere sculture olimpioniche erose dal tempo. Lo strumentale "Windfall" irradia con beltà e malinconica grazia partiture per archi e fiati, paesaggi grigi, ma vitali e trepidanti, brividi notturni e drappeggi melodici crepuscolari sorreggono splendidamente "In The Wake Of Adversity", ombrosa danse macabre sommersa ancora dalla cupa vena canora di Perry, una straniante e arcaica danza delle ombre. Tocca poi ai meravigliosi misticismi di "Xavier" chiudere la parte del viaggio affidata alle impervie vocalità di un Brendan Perry ispirato, solenne, sciamanico; eteree malie sonore  orchestrali troneggiano e svettano incontrastate tra i cupi rivoli di melodie ebbre di decadenza, il canto sommesso a tratti si innalza e scandisce parole irte di tristezza.

Introdotta dai trionfali innesti degli ottoni "Dawn Of The Iconoclast" irrompe fiera e maestosa, i vocalizzi persi nel vuoto della Gerrard fanno rabbrividire, il suo canto d' ecate svetta fra dronanti muri di suono che si dissolvono per confluire in dei fraseggi sonori mediterranei, i fraseggi iniziali di "Cantara", una corsa a perdifiato attraverso campi dorati e templi metafisici, l'irrompere delle percussioni e delle sperimentazioni vocali ultraterrene della Gerrard chiudono il cerchio, in un'amplesso sonoro consumato su sudari ricoperti di rose bianche. "Summoning Of The Muse" aderisce a codici di bellezza cristallini ed onirici, struggente il canto aurorale di Lisa Gerrard che svetta tra il meraviglioso e scuro melodiare degli archi, antichissime rovine scolpite in immensi cieli stellati irradiati di luce, la successiva "Persephone (The Gathering Of Flowers)" irradia cupezza e solennità sacrale, genuflessa su altari di divinità ancestrali, vocalizzi di una bellezza disarmante, sovrannaturale, le fosche partiture per archi e fiati innalzano dorate barriere sonore abbattute più volte dalla voce mesmerica della Gerrard fino alla fine, oltre il naturale, ovunque fuori dal mondo.

Carico i commenti... con calma