Nel dicembre del 1984 la lista dei singoli in uscita nel Regno Unito vede questa oscura band pubblicare un brano intitolato "You spin me 'round". L'anno dopo è panico nelle classifiche di tutto il mondo. Lo dico prima che a qualcun altro venga il sospetto, sto toccando un tasto alquanto dolente. Perché, si sa, la musica recensita qui deve essere di un certo tipo e sopra tutto deve essere musica seria! Io invece vi propongo una pop band patinata e in fin dei conti insignificante per la musica rock. Ha senso? Io avrei una domanda migliore: ha senso dire di no? Io dico solo che il singolo in questione è bello. E io recensisco le cose belle. Perciò vado avanti, incurante delle vostre maledizioni, puristi ariani del cazzo.

"Youthquake", secondo lavoro in studio della band di Liverpool, rappresenta la consacrazione musicale di un gruppo di perfetti sconosciuti e di un essere, tale Pete Burns, alquanto curioso. Oltre a essere il primo grande successo di un trio di produttori di cui parlerò più avanti. Siamo giusto a metà dei famigerati anni '80, un decennio musicale su cui molti vorrebbero sorvolare, su cui si sono spese fiumi di parole e non tutte le pietre sono state ancora scagliate. Un periodo in cui mostrarsi diventa sempre più un giochetto divertente, spesso e volentieri a scapito della sostanza. E così il nostro esteta portavoce della perversione sessuale (e sopra tutto gay) tal già citato Burns trova il suo habitat naturale. Proveniente da un album di esordio con la major Epic Records non proprio ricordabile (se non per una simpatica cover di "That's the way (I like it)" dei KC & The Sunshine Band) si presenta al cospetto di due (allora) piuttosto anonimi produttori attivi nella scena dei club Hi-NRG: Stock, Aitken e Waterman. Il loro stile di produzione, infarcito di sintetizzatori, ritmi eccessivi (tipicamente, appunto, Hi-NRG) , percussioni sovrapposte e una formula melodica tanto facile quanto maledettamente orecchiabile spedisce in orbita il quartetto, sfondando letteralmente ogni classifica, Italia inclusa.

L'album completo uscirà nella primavera del 1985. Sarà manifesto di quella identità che i Dead or Alive si erano creati grazie all'indubbia eccentricità del loro leader. Inoltre sarà il trampolino di lancio per Stock, Aitken e Waterman, che di lì in avanti per circa cinque anni produrranno montagne di dischi, proponendo quasi sempre la stessa plasticosa (e, dopo un po', pallosa) formula, facendo volare verso il successo anche perfetti sconosciuti e consacrando le carriere di soggetti quali Bananarama, Rick Astley, Kylie Minogue, Samantha Fox e gli stessi album successivi Dead or Alive. Tutto puro e volgarissimo pop, talvolta anche piuttosto banale, tipicamente usa e getta.

"Youthquake" però, nonostante la generale vuotezza artistica del team di produzione, riesce a essere memorabile e a ritagliarsi un bell'angolo sullo scaffale dei "dischi pop da ricordare". Ecco perché: La partenza è subito esplosiva: il già citato singolone "You spin me round" è una vera e propria bomba, in pista come in radio, ovunque e comunque lo si ascolti. Vanta un'infinità di cover, remix e versioni varie, in qualsiasi genere musicale, passando dal pop alla dance alla latina al metal fino all'elettronica. I tratti distintivi delle produzioni Stock, Aitken e Waterman ci sono tutti: linea di basso sintetica e staccata, drum machine super articolata (qui è la leggendaria Linndrum, riconoscibile per il clap), melodia portata dalla parte vocale, bpm molto elevati, uso del campionatore elettronico (e qui troviamo un'altra leggenda elettronica degli anni '80, il Fairlight CMI), ritmica eccessiva e pomposa, quasi hard. Inutile dire che resta uno dei migliori e più rappresentativi pezzi della band, nato per sbaglio dallo strimpellamento di qualche accordo del bassista Mike Percy. Una chicca particolare è lo stilosissimo videoclip musicale trovabile con facilità su YouTube. Il ritmo non si ferma con "I want to be a toy". Nonostante questo pezzo non sia stato mai pubblicato come singolo resta comunque un estratto interessante di quella sottile perversione sessuale di Pete Burns, che strilla al vento "Voglio essere il tuo giocattolo". Come per dire "Frustami baby!".

L'album cala di livello con la "Dj hit that button". L'aria festaiola e spensierata che si respirava nelle due precedenti songs viene continuata, ma a lungo andare risulta alquanto stucchevole e noiosa. È un pezzo che nulla toglie o aggiunge all'album (che comincia a somigliare più a un contenitore di singoli). Il ritmo rallenta con "In too deep", a mio parere il momento migliore di "Youthquake" subito dopo "You spin me round". La song, che vanta una atmosfera alquanto smooth jazz (da qualche parte c'è e si sente) trasborda comunque di campionamenti. Non è sempre un male comunque. Uscì come singolo, destando anche un certo scandalo per un possibile doppio senso nel ritornello. Il lato A si conclude con la trascurabile "Big daddy of the rhythm", una pura manifestazione della dance che il trio Stock, Aitken, Waterman sapeva fare: orecchiabile, ballabile, ma piuttosto scontata. Il lato B si apre con un'altra traccia piuttosto dimenticabile dai sapori orientali, "Cake and eat it". Ripetitiva, ma passa presto. Il seguito è ben più gustoso: "Lover come back to me" è quello che si può dire il cugino di "You spin me round". Le sonorità sono piuttosto simili, il ritmo pure, cambia la parte melodica che non manca di instillarsi in testa come una siringa. Anche di questa esistono varie e disparate versioni. Il videoclip in salsa egiziana è forse il migliore della loro carriera (Burns con la benda all'occhio attizzava alquanto al suo tempo). Segue la cartuccia finale, "My heart goes bang", un distillato di synth e sequencer molto "trendy" per il periodo, che non sfigurerebbe affatto in un gay-club. La conclusione è affidata a otto minuti di strumentale, una curiosa traccia di elettronica in salsa medio orientale che comunque, per quanto riguarda l'album da cui deriva, piuttosto fine a se stessa. Utile ad alzare il minutaggio più che a concludere l'album. Una sorpresa che comunque è graditissima.

Con questo concludo la mia recensione di questo disco che ha il vantaggio, nonostante i numerosi alti e bassi, di essere comunque originale. La composizione è completamente nuova, non vengono usati sample da altre canzoni (cosa purtroppo ricorrente in moltissimi dischi pop e dance realizzati successivamente) e non scade nel tamarro tunz-tunz. Due stelle per l'album. Tre stelle per "You spin me round" .

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