La ragazza non vedeva gli occhi dell'uomo, coperti com'erano dall'obiettivo di vetro della macchina fotografica, e non percepiva i suoi tremori di passione, non riusciva a intravedere le gocce di sudore che gli colavano sulla fronte, coperta com'era dal telone nero dell'apparecchio. Eppure quell'uomo, quella sagoma scheletrica che la sua famiglia aveva contattato per le foto di rito, allorché l'età del suo ingresso in società si avvicinava, quell'uomo soffriva le pene dell'inferno ogni volta che la ragazza sorrideva alla macchina, ogni volta che si metteva in posa, ogni volta che tratteneva il fiato (complice quel bustino stretto) per risultare più bella in foto, come se ce ne fosse bisogno poi!
Quel giorno sembrò diverso però: dopo l'ultima foto la giovane sembrò sorridergli quasi, sembrava quasi essersi accorta che il battito del cuore di quella figura accelerava di colpo a ogni suo battito di ciglia, gli sembrò più vicina insomma. Salutata la ragazza ed i genitori, l'uomo uscì di casa loro quando la luce dei lampioni ad olio era già accesa da qualche ora, e nelle strade della città le persone eleganti e rispettabili stavano inavvertitamente dandosi il cambio con la popolazione meno appariscente ma senza dubbio più numerosa, i pezzenti, i mendicanti, le prostitute. L'uomo fece qualche passo salvo poi bloccarsi perché una voce lo aveva chiamato: "aspetta!" aveva urlato la ragazza, e quando si voltò la vide corrergli incontro, ma fu un'idea egoistica e da sognatore la sua. La ragazza lo urtò e gli passò oltre, per abbracciare un giovane che stava camminando nel senso opposto: il suo ragazzo, bello, elegante, con un vestito lungo, stava andando a trovarla, e lui, povero scheletro ambulante, era solo un ostacolo tra i due, un'ombra neppure notata.
Sconfitto, affranto, si ritirò a casa, nella sua camera oscura, dove sviluppò le foto fatte. La più bella se la tenne stretta al cuore, la portò in uno stanzino, accese un lumino e subito prese colore un altare interamente cosparso di foto della giovane, fiocchi per capelli, boccette di profumo quasi finite, fazzoletti... La venerava come una dea, sperando che un giorno lei si sarebbe accorta di lui, ma quel giorno non sarebbe mai arrivato, ormai ne aveva avuto la certezza.
Con un colpo deciso del treppiede della macchina fotografica, poggiato lì vicino, distrusse tutto quell'altarino; colpì il lumino a gas e dette fuoco alle foto e ai vari cimeli, poi afferrò un pezzo di vetro e con un colpo secco si recise un polso: che senso aveva vivere ormai? Colmo com'era di rabbia non gli venne però in mente di affidare le sue ultime parole ad un dio, ma maledisse con tutto se stesso la ragazza, la sua bellezza e il suo cuore.
La casupola ci mise poco a bruciare, ma le guardie furono sorprese del fatto che, a rogo spento, non fosse stato rinvenuto alcun resto. Non fu invece sorpresa la ragazza, che anzi non vedendo il fotografo varcare la soglia di casa sua come di consueto avvisò i genitori di cercarne un altro, visto che la festa per il suo ingresso in società si avvicinava e dovevano essere fatte le pubblicazioni.
Era seduta di fronte al suo specchio e si spazzolava i capelli, e assorta com'era dalla vacuità dei suoi pensieri nemmeno si accorse di un'ombra che era sinistramente caduta sopra di lei: quando sentì il freddo del coltello che le lacerava la gola fu tardi, e solo mentre perdeva per sempre i sensi intravide quell'ombra, che le ricordava qualcuno che aveva incrociato forse una volta nella sua vita, qualcuno di scheletrico, magro, terribilmente insignificante.

Non ricordo nemmeno come mi sono imbattuto nei Dead to a Dying World, ma è stato un incontro davvero fortunato. In un autunno in cui sembrava sembravo non trovare soddisfazione particolare in nessun ascolto, in un momento in cui le uscite che attendevo con più ansia alla fine mi lasciavano l'amaro in bocca (salvo rari casi), in un momento di stasi insomma spuntano questi texani a sconvolgermi la giornata. Capire cosa ci offrono è complicato: il loro suono è ondivago, fatto dall'urgenza tipica del crust e del post hardcore unita alla furia del black che si spinge però molto spesso in cavalcate epiche dall'ampio respiro tipiche del post metal/post rock, che si infrangono in rallentamenti doom per poi crescere nuovamente di intensità. Voci pulite (poche, ma quando ci sono fanno letteralmente venire i brividi), scream e growl si alternano al cantato, in un pandemonio sonoro veramente coinvolgente. Qualche gruppo di riferimento? Vi cito direttamente l'etichetta, Alerta Anrtifascista Records: traete da soli le conclusioni, sappiate solo che i Nostri rientrano perfettamente nei canoni tipici del roster di questa label. C'è poi, udite udite, qualche influsso wave: nei momenti di calma potreste sentirci anche l'eco dei Dead Can Dance.
"Litany" è pervaso da un senso di epica disperazione, di rovina, di apocalissi imminente, c'è una rabbia che si contorce su se stessa, che vede la luce solo per qualche attimo salvo poi ripiombare nella disperazione cupa. Non c'è la natura deificata dei cascadiani, il loro senso rituale e catartico (anche se quella batteria nei momenti in cui pare "rotolare" con quel suono tipicamente "Cult of Luna" è molto ipnotica); manca il degrado urbano e postpunk di molti gruppi post black, così come manca la tristezza e la malinconia fine a se stessa. Qui come detto è la disperazione titanica a farla da padrone, un senso di perdita che ho percepito forse solo con i Dying Sun.
Insomma, ascoltatelo e capirete da soli cosa non riesco a dire a parole: un ascolto anche della sola "The Hunt Eternal" e tutto vi sarà chiaro.
Da provare!

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