Clint Ruin & Lydia Lunch -Don't Fear the Reaper
Ecco, questo mi piace anche di più di "Stinkfist", più accessibile ma bello malato comunque. C'è ancora "terrorismo sonoro" (Clinch) ma qui Ruin e la Lunch si divertono anche con le cover di due pezzi pop come la title-track e addirittura con i Beatles dell'album bianco, due splendide cover (quella dei BOC è un capolavoro, IMO). Il capolavoro però è "Serpentine" di Ruin, elegante e oscuro duetto tra le due voci con accompagnamento di tromba. Ep "divertissement" tra i due ma splendido. di più
Clint Ruin & Lydia Lunch -Stinkfist
J.G. Thirlwell in una delle sue 100 identità affiancato da una compare perfetta come non mai quale Lydia Lunch si diverte scatenandosi in tre tracce di puro terrorismo sonoro, a tratti devastante. "Meltdown Oratorio" con le declamazioni della Lunch è sublime. Nel quarto brano arriva pure Thurston Moore, autore del pezzo insieme alla Lunch e tutti e tre fanno un chiasso del diavolo. Il duo ha fatto di meglio in separata sede ma per i fan dei tizi qui è da avere. Bella copertina :D di più
Steve Hackett -Wolflight
Il passo falso di Hackett nell'ultimo decennio, uno dei suoi dischi meno belli che tra l'altro è posto in mezzo a due album molto più ispirati. Ci sono un paio di canzoni non male (la title-track è bellina ad esempio, anche "The Wheel's Turning" ) ma per il resto lo trovo debole, piatto, molto deludente, poche idee e anche pasticciate. Ci sono melodie, arrangiamenti e soluzioni in parecchi brani che vorrebbero essere epici ma sfiorano il pacchiano, qualche volta lo incontrano proprio e gli battono il cinque, è un disco pesante da ascoltare, noioso, anche se qua e la in quasi tutte le canzoni c'è quel pezzo o quel passaggio di chitarra che ok, è bello, ma non basta. Terribilmente pacchiana anche la copertina... Belli i lupacchiotti per carità, ma l'effetto generale mamma mia, no. Per me, aspettando di ascoltare l'ultimo appena uscito, il decennio 2010-2020 è stato fruttuoso per Hackett da un punto di vista qualitativo, "Wolflight" unico mezzo giro a vuoto. di più
Steve Hackett -Tribute
Lo Steve Hackett per chitarra classica è sempre quello migliore, a mio gusto (sarà che adoro il suono dello strumento) anche quando incide un disco in condizioni di fortuna e in un periodo a dir poco complicato, ovvero in pieno divorzio burrascoso con l'ormai ex moglie Kim e in guerra anche col manager che gli avevano tolto anche la possibilità di registrare musica in uno studio (oh, per dirla in breve eh). Questo disco Hackett se lo è dovuto suonare e registrare in casa sua, in uno studio improvvisato, probabilmente mentre Kim stava lì a staccare la moquette dal pavimento per portarsi via anche quella (ragà, mi sa che ci ha detto culo che non è venuta a casa nostra a richiederci indietro le sue copertine dei dischi del marito, scherzo Kim, non fare causa a DeBaser). A parte il fido King alla produzione e al missaggio qui c'è solo Hackett e la sua chitarra. Basta. Nemmeno il fratello al flauto. Solo lui. Lui e gli autori classici omaggiati, perché qui Hackett si affida al porto sicuro di esecuzioni di pezzi altrui. Il più rappresentato è Bach, ovviamente, in fondo fu lui in origine ad aprire a Steve nuovi "Orizzonti" chitarristici, molti anni prima. E niente, sarà anche un disco fatto per necessità (era l'unico tipo di disco che poteva permettersi di fare in quel momento, di fatto) ma è pur sempre Hackett che suona alla classica Bach e compagnia. Una perla. Giù il cappello. di più
Steve Hackett -Defector
"Defector" mi ha sempre lasciato abbastanza freddo e abbastanza deluso, è un discreto lavoro, a tratti anche qualcosa di più, ma non riesco a togliermi dalla testa l'idea che sia il fratellino sfigato di "Spectral Mornings", persino l'artwork di Kim è meno bello di quello precedente. Metà del disco è strumentale, il che non è un gran problema visto che i cantanti raramente sono il punto forte dei suoi dischi (a meno che non avesse assunto a tempo pieno Sally Campovecchio, per dire), i pezzi cantati sono le quiete "Leaving" e "The Toast" classic ballad hackettiane, belle canzoni, e poi i due brani dove Hackett vira maldestramente verso una strada più pop, magari in un tentativo di combinare qualcosa in classifica. Tipo che ti ritrovi "The Show" con quel basso slapposo che dici "ma è Hackett o è AnoderUanBaizddeDast" e che mi piace un sacco... Il basso, dico, la canzone è un po' una schifezza. Così come "Time to Get Out" non brutta ma loffia. In quel 1980, i suoi ex-compari erano molto più ispirati in ambito pop. Poi c'è il divertissement retrò finale, simpatico. Altalenanti anche gli strumentali, pallosa "The Steppes", riuscita e ottima la solare "Jacuzzi", che ve lo dico a fare il pezzo per chitarra classica, non malaccio ma nulla di eccezionale le restanti. Non so, è un netto passo indietro dopo Spectral, da qui per un paio d'anni inizierà una fase più "pop" con il poco riuscito "Cured" e il decisamente più valido "Highly Strung". di più
Steve Hackett -Guitar Noir
"Guitar Noir" è un bel disco di un artista giunto alla piena maturità, un lavoro raffinato, elegante e dalle atmosfere spesso soffuse, delicate quando non cupe o malinconiche. Questo è anche uno dei dischi in cui Hackett riesce a far convivere meglio la parte acustica e quella elettrica della sua musica, in costante interscambio e dialogo tra loro nella maggior parte delle canzoni, con l'ottimo aiuto delle tastiere di Magnus, seguendo una strada ben definita, ancora lontana da quell'eclettismo furioso che dominerà i suoi dischi del decennio successivo. Poi Hackett lascia che "anima" acustica e "anima" elettrica prendano strade separate e così escono due dei pezzi migliori, due strumentali, "Walking Away From Rainbows" per chitarra classica e "Sierra Quemada" che è il brano elettrico più tipicamente "suo" nello stile chitarristico, brano che sarebbe stato bene anche su "Spectral Mornings" per capirci. Gli altri due pezzi che elevano il disco sono "Vampyre With a Healthy Appetite" e poi, ovviamente, la splendida "There Are Many Sides of the Night" che attraversa da sola l'elettrico, l'acustico e persino l'orchestrale, tutto lo scibile hackettiano, la vetta del disco. Punto più basso, la simpatica ma isolata "Lost in Your Eyes" che stona con il resto e, francamente, è caruccia ma non un granché. Per il resto belle canzoni (in media) raffinate che contribuiscono a fare di "Guitar Noir" uno dei lavori più omogenei e riusciti dell'Hackett elettrico post-'79. di più
tony banks -a curious feeling
Fu un buon esordio solista, un lavoro più che discreto che non lasciava presagire la futura pochezza dei dischi in proprio (e non solo, ehr...) di Totonno Banche. Diciamo che segue una scia, a livello di sonorità e scrittura, molto vicina a quella di "And Then There Were Three" e d'altronde era questa la cifra stilistica del Banks autore di fine anni '70, un pop elegante e raffinato con spunti prog, melodico, lineare, romantico e un po' malinconico e ovviamente incentrato sulle tastiere. Totonno essendo un orso totale, suona tutto da solo, dal pianoforte al triangolo equilatero, chiama giusto Chester Thompson alla batteria e un cantante, Kim Pancetta, dalla voce pulita, chiara e per me un po' anonima, con certe canzoni che improntate sulla sua vocalità tendono quasi a sonorità semi-aor per le quali non impazzisco. In realtà l'unico brano che mi regala vere emozioni è l'ispirato strumentale "Waters of Lethe", con bellissime melodie banksiane e Totuzzo che si diletta anche alla chitarra elettrica. Il resto sono canzoni o strumentali più che gradevoli, giusto un paio di cacatelle (brutta forte la taitoltrac) ma il resto è musica piacevole. Certo non è un disco particolarmente bello o chissà cosa, se poi pensiamo che è il suo migliore, bah, peccato. Lo dico, degli esordi solisti dei vari Genesis è quello meno bello secondo me. di più
Queen -Sheer Heart Attack
Un album che mi piace molto, solo un pelo inferiore al precedente e assolutamente alla pari con il successivo. Il solito, divertentissimo circo queeniano al massimo dello splendore e dell'ispirazione, qui più che mai vengono anticipate idee poi presentate su "A Night at the Opera" l'anno successivo. "Sheer Heart Attack" è un disco vivace, vario, colorato, kitsch, glam, pop, hard-rock, cabaret, stacchetti musicali, cori sopra le righe, melodie splendide e tamarreide scema, riconoscibili in un quarto di nota. Altro pregio, molto più evidente che in "Queen II" e "Opera", è la compressione delle molte idee, dal kitsch esagerato alle melodie più dolci, in canzoni molto brevi, un paio di minuti di media, due minuti e mezzo tiè, a volte anche meno, come nel delicato bozzetto di un minuto di "Dear Friends". Sono schegge di canzoni, frammenti di perle pop-rock-glam ("Killer Queen", "Flick of the Wrist"), di delicate ballad ("Lily of the Valley") di rock fulmicotonici ("Stone Cold Crazy") brevi momenti di geniale bizzarria retrò ("Bring Back That Leroy Brown"). Poi c'è "In the Lap of the Gods" che è croce e delizia, trash e bellezza dei Queen, esplicativa del loro stile, e la versione "Reprised", quasi la prima "rock-arena" song di Mercury. Funzionano alla grande anche i pochi brani lunghi (soprattutto "Brighton Rock" palcoscenico per un grande May alla chitarra e "She Makes Me", sempre di May). di più
Queen -A Day At The Races
L' ultimo vero bel disco dei Queen prima di "Innuendo", quindici anni dopo. L'ho anche rivalutato, questo Giorno alle Corse, è inferiore ai tre dischi precedenti ma solo di poco, è un bel lavoro che chiude il discorso della "maturazione" o della maggior ambizione iniziato, alla grande, con la Notte all'Opera. Un quartetto di canzoni per me particolarmente riuscite: "Somebody to Love", ovviamente, una delle migliori del repertorio mercuryano, l'altra queenata al 100 & "The Millionaire Waltz", che riprende l'operetta/suite alla Rapsodia zemaniana con cambi di tempo, ritmo e stile e risulta quasi altrettanto riuscita, molto bella; il solito scherzo-old fashioned di "Good Old-Fashioned (appunto) Lover Boy" e la conclusiva ballatona corale "Teo Torriatte", ruffian...ehm omaggio ai fan giapponesi della band, con tanto di cantato poliglotta di Federico Mercurio, melodia splendida ma anche ritornello "da stadio" che l'anno successivo troverà definitiva sublimazione nelle due canzoni più rotturadicazzo in tutta la storia della musica. Dalla parte hard-rock invece trovo che "White Man" sia più bella di "Tie Your Mother Down" (orecchiabile, carina, ma nulla di eccezionale), e poi c'è qualche piccola perla sparsa tra i brani minori, che sono tutti molto carini in realtà, forse la più caruccia tra questi è "Drowse" di Taylor. di più
Ufo -Obsession
Be, quest'ultimo disco in studio con Michelino alla chitarra è decisamente il meno bello degli UFO anni '70. Per carità, un più che passabile disco di rocchettino/hardrocchettino, ma a livello di songwriting è decisamente in tono minore rispetto ai quattro dischi precedenti, che viaggiavano stabilmente su un binario di canzoni tra il buono e l'ottimo. Gli Ufo fino a quel momento avevano sempre scritto cose semplici, classiche, ma belle canzoni, eccome, belle idee melodiche, bei rocchettoni, begli assoli, bello tutto, qui invece cominciano a farsi strada quelle orribili ballatone strappamutande da arena-aor che per carità tagliatemi le vene piuttosto ("Looking out For N.1" è tra tutte quella che di più mi fa cacare) e in generale, anche se "Only You Can Rock Me" è un azzeccatissima opening per il disco, ci sono poche canzoni che potrei definire più che "carine", 2-3 buoni pezzi rock, non più di questo. Un disco passabile ma molto inferiore ai precedenti e non la più brillante chiusura per il periodo migliore della loro carriera. di più
UFO -PHENOMENON
Classico ormai masticato, degustato e digerito da tempo ma che è sempre bello rimettere sui fornelli audio di tanto in tanto. Mi piace molto, un perfetto disco di rock-classico anni '70 con punte di ottimo hard-rock ("Rock Bottom" raggiunge le vette del genere e si, nel '74 andava di moda 'sto titolo per dischi e canzoni) ispiratissimo dall'inizio alla fine dove tutte ma proprio tutte le canzoni sono belle, dai più tirati brani rock alle ballad (con tanto di strumentale "Lipstick Traces" e mettiamoci pure una cover di Dixon che non si sa mai, vedi "Built for Comfort"), va tutto liscio alla grande. Erano passati tre anni dal secondo disco in studio e dal primo live, giusto il tempo per tracciare una nuova traiettoria artistica e acquistare al discomercato del '73 il fuoriclasse tedesco della chitarra elettrica, il giovane tamarro Michele, che prende subito le redini anche compositive della band, insieme a Mogg. Tre anni spesi bene, perché anche in versione 2.0, strutturalmente semplificata nelle canzoni, gli UFO, che di spaziale ormai hanno solo il nome e la copertina di questo disco, risultano altrettanto e probabilmente anche più efficaci rispetto agli esordi, tirando fuori 4-5 dischi molto validi fino al '79 dei quali questo, forse, resta il migliore ma è difficile dirlo. Disco ottimo davvero. Prodotto da Leone Leoni, bassista di quell'altra band di scarsi dei Ten Years After... di più
UFO -LIGHTS OUT
"Phenomenon" alla fine resta di poco il mio preferito, questo qui subito dopo, di un capello sopra "Heavy Petting", fosse anche solo per "Love to Love" che è uno dei loro brani migliori, rock epico e "raffinato" senza scivolare nel pacchiano, e per la cover dei Love di quel gioiello di perfezione melodica pop di "Alone Again Or". Insomma, è un disco pieno d'amore 'sto "Lights Out". Gli UFO hanno una scrittura molto semplice, con canzoni classicissime, vedi la ballad "Try Me", magari pure un po' banale, ma la utilizzano per scrivere sempre belle, o nel peggiore dei casi piacevoli, canzoni. Ascoltati spesso nelle settimane passate, confermo il loro essere tra i gruppi del rock/hard rock classico anni '70 che mi piacciono di più; sull'Isola Deserta non me li porterei, ma hanno fatto diversi dischi ottimi nel genere, davvero ottimi. Questo è indubbiamente sul loro podio. di più
Ash Ra Tempel -Seven Up
Non un capolavoro come lo sono altri album degli Ash Ra, però mi ha sempre divertito molto questo curioso viaggio in Svizzera della band di Manuel Göttsching verso il rifugio dell'esule guru Timothy Leary. Tra trip e cazzeggio ne uscì fuori questo bel disco fatto di due jam (una più cosmica, bellissima) improvvisate, al sapore di Seven Up corretta con LSD. Album bello e "divertente", collaborazione davvero interessante. Le vette degli Ash Ra restano comunque i primi due dischi ma questo qui l'ho ascoltato spesso e sempre con gusto. di più
Aretha Franklin -Aretha in Paris
Be, è Aretha dal vivo all'Olympia di Parigi nel 1968, nel pieno del suo momento di massimo splendore artistico quanto di massimo riscontro commerciale, che altro aggiungere. Oddio, poi non è che ci sia molta differenza tra questo live e un suo coevo album in studio, è più una compilation eseguita dal vivo di alcuni dei brani migliori del suo repertorio, ciò non toglie che il disco sia una ficata. Tutta la bellezza e l'energia della Franklin e del miglior Soul ed R&B qui si trovano alla grande. Penso solo alle canzoni che aprono e chiudono il live: la sua versione di "Satisfaction" io la preferisco, nettamente, all'originale degli Stones, per quanto mi piacciano gli Stones, mentre "Respect" vabbè... La solita bomba perfetta per chiudere un disco live con i fuochi d'artificio. Bello bello. di più
Black Sabbath -Heaven And Hell
I Black Sabbath 2.0 con Dio alla voce (si, i Black Sabbath con Dio, hanno fatto la gag), i Black Sabbath 2.0 che si danno all'Heavy Metal alla NWOBHM. Qui premetto, per me non ha senso riferirsi a questo tipo di musica con "Heavy Metal", soprattutto parlando di questi Sabbath, quando il termine "Metallo Pesante" fu coniato proprio per dischi di rock o rock-blues particolarmente duro nelle sonorità, tra i quali i primi lavori dei Sabbath stessi, quindi non sarebbe una contraddizione enorme indicare con lo stesso termine "Heaven and Hell", che è tutt'altra cosa ? Che cavolo ci sarebbe di "Metallo Pesante" qui dentro e in altri dischi del genere ? Al massimo questo è "Soft Metal", tiè. Suoni puliti, leggeri, aperture epiche e assolutamente melodiche, in qualche occasione praticamente pop-rock, in altre un Hard-Rock dal suono brillante e "grandioso". In ogni caso, ritengo questo disco una rinfrescata di sonorità (radicale) e line-up di cui i Sabbath avevano bisogno, dopo i due ultimi dischi sottotono con Ozzy, e un disco eccellente nel suo genere, che tuttavia a me non fa affatto impazzire. Lo reputo comunque un buon disco, con un'ottima title-track (gran pezzo) e molto bella anche "Lonely is the Word", che sono i brani che spiccano, con belle melodie, la bella voce di RJ e ottime parti chitarristiche di Totonno Iommi. Il resto mi dice molto meno ma è gradevole. di più
Black Sabbath -Sabotage
Un disco che ha preso una direzione musicale in buona parte improntata su un Hard-Rock più canonico e "classico", perdendo la pesantezza (perché loro suonavano la versione pesante del rock pesante, il rock sovrappeso) bella dei primi dischi; questo alle mie orecchie gli fa perdere qualche punto ma pazienza, perché è Hard-Rock di quello bello e "Sabotage" resta nel suo genere uno dei dischi a me più graditi degli anni '70 (e, dunque, in assoluto). Non mancano nemmeno qui canzoni che affrontano generi diversi, "Am I Going Insane" è più dalle parti di un pop-rock acidulo che altro (ed è molto carina se chiedete a me). "Supertzar" invece è una merda senza appello, credo la prima canzone demmerda dei Sabbath, roba inimmaginabile per una band simile, fino a quel momento. Per il resto è tutto bello, Symptom e la più elaborata "The Writ" (bellissima la parte acustica finale) sono le mie preferite, due grandissimi brani, anche i 10 minuti di "Megalomania" scorrono bene bene. Gran disco, l'ultimo così bello con Ozzy alla voce, prima di due dischi decisamente stanchi e meno ispirati (anche se non del tutto da buttare) e la ritinteggiata (salvifica sebbene per gusti a me non molto gradita) in toni "epici" con Ronni Geims. di più
Alice -Capo Nord
Davvero valido il primo disco di Carla Bissi sotto il nome d'arte di Alice e sotto l'ala di Battiato e Giusto Pio. Di fatto la sua carriera inizia da qui. "Capo Nord" rientra in quel ciclo di dischi scritti da Battiato e Pio in un momento di ispirazione pop fantastica, nelle musiche, nei testi, negli arrangiamenti, il pop-rock/synth-pop d'autore battatiano non ne sbagliava mezza, in più qui (come per Giuni Russo o Milva negli stessi anni) questa ispirazione è data in dono ad una interprete tra le più grandi della musica italiana; interprete ma anche autrice, sia perché la sua era una collaborazione attiva nella scrittura con i due maestri, sia perché due canzoni se le scrive tutte da sola e una, "Una sera di Novembre", è tra le più belle del disco, raffinata ed elegante. In più, la voce e le grandi capacità interpretative. Alice lo sappiamo tutti quanto grande si è dimostrata nel proseguo di carriera, quello che ha fatto come musicista, autrice e interprete, ma questo disco è un antipasto già gustosissimo. "Il vento caldo dell'estate", "Bael", "Sera" e soprattutto la cupa malinconia rassegnata di "Rumba Rock" sono canzoni memorabili davvero. Bello. di più
Soundgarden -Louder Than Love
Mi piace parecchio, da sempre è il mio preferito del Giardino del Suono. Più viscerale del maturo "Superunknown", più rifinito del grezzo "Ultramega Ok" è il compromesso perfetto raggiunto dalla musica della band, il disco più compatto e "quadrato". Lo considero uno dei migliori dischi Rock/Hard-Rock usciti a cavallo tra anni '80 e '90. In più questa è la miglior formazione dei Soundgarden ed è al suo massimo, con Yamamoto, gran bassista, importantissimo anche in fase di composizione dei brani. E poi un cantante/autore bravissimo, un chitarrista bravissimo, un batterista pure lui in gran spolvero e quello che viene fuori è un disco molto omogeneo, anche nella qualità dei brani. Oh, io non arrivo a definirlo capolavoro, o considerarlo uno dei "miei" dischi fondamentali, giusto perché considero i Soundgarden degli ottimi allievi che, pur facendo una porca figura, non hanno superato i maestri (le varie ispirazioni della band le conosciamo tutti, non sto qui a ripetere il loro listino della spesa), insomma questione di gusti però questo di fatto trovo sia un disco che rasenta la perfezione, ha solo ottimi brani, dal primo all'ultimo, non un cedimento, non un punto debole, non una canzone poco riuscita, scorre liscio-liscio, è un blocco unico di ottimo hard-rock 2.0. Bellissimo. di più
Afghan Whigs -Congregation
Molto bello, il gradimento cresce ad ogni ascolto. Di fatto è il primo album degli Afghan che prendo e ascolto come si deve e per intero, al primo giro mi ha lasciato in parte perplesso, mi aspettavo già da questo maggiori influenze Soul/Black varie, turlupinato dalla stupenda copertina, che già di suo è indicativa della passione di Dulli e compari per l'ibridazione tra rock bianco e il soul/r&b, così come è significativo anche il testo della title-track, ad esempio. Dal secondo ascolto in poi mi sono trovato comunque di fronte ad un bellissimo disco di tipico "rock anni '90", con canzoni molto belle una dietro l'altra, ispirate, alcune meravigliosamente coinvolgenti ("Turn on the Water" o "Conjure Me" o "Miles Iz Dead" con suo magnifico riffettino, "This is My Confession", ad esempio). Non c'è un pezzo poco riuscito, non mi fanno impazzire produzione e suoni (nel senso di volumi proprio, ma non ci capisco nulla di 'sta roba) ma il livello di songwriting qui è di ottima qualità. In questo disco non si avverte musicalmente (se non in modo vago-vago) la loro passione per il pop-soul-r&b, ma che avessero intenzioni più ampie del semplice "famo rocche grange" si intuisce... Dalla bellissima cover di "The Temple" tratta da "Jesus Christ Superstar" ad esempio. Be, da quello che ho capito "Congregation" fa un po' da ponte tra i primi due dischi più grezzi e i due successivi a questo, gli album della definitiva maturità. Un ponte fatto molto bene, non c'è che dire. di più
Elton John -21 At 33
Disco che rappresenta una risalita rispetto al precedente ma grazie al cazzo rispetto a "Victims of Love" anche il Best Of con me che canto sotto la doccia sarebbe stato un miglioramento. Disco di mestiere, con un paio di buone canzoni, altre 2-3 carine e il resto è abbastanza disintegrabile secondo me. Questo primo disco di EJ degli anni '80, seguito dall'ancora più valido "The Fox" poteva sembrare un preludio ad un ritorno a produzioni di buona qualità e invece no, era l'anticipazione prima delle cagatissime. Questo è ancora un disco accettabile e dignitoso comunque, che un paio di volte si lascia ascoltare e poi se ne sta lì a prendersi la sua brava polvere. Ma farà di peggio, molto di peggio, lo zio Reginaldo. di più