Iron Maiden -The Number Of The Beast
L' arrivo di Cazzonelfiglio (brutto cognome, eh), la svolta verso l'Heavy Metal "classico" di cui loro sono assoluti portabandiera, il primo disco 100 % nello "stile Maiden". Io, però, questa musica qui, specialmente la loro, la identifico come Metal-Pop perché oh, ragazzi, gli Iron Maiden sono pop, tanto, anche nella scelta di certe melodie, di certi ritornelli, sono pop (tipo la title-track, oppure il ritornello di "The Prisoner") E questo è un divertente dischetto pop. Inoltre qui si esalta la loro teatralità, la "cattiveria da fumetto gore", i riferimenti letterari e cinematografici, le ispirazioni strutturali, stilistiche e melodiche ai Priest di Sad Wings ("Children of the Damned") e ad altri tipi di Hard-Rock/Heavy Metal dai tono eleganti e/o grandiosi (credo anche i Sabbath di "Heaven and Hell" a questo punto) ecc. La title-track, bellissimo evergreen, è la versione hard di "Thriller" di Michael Jackson praticamente (statece, c'è pure il narratore col vocione creepy, e Harris avrebbe voluto Price tra l'altro...) oppure la versione cartoon di "Black Sabbath". Pezzo migliore "Hallowed BeThy Name" ma tutto il disco è un gran divertimento. Non mi piace quanto i primi due, ma forse è il loro disco che riascolto più volentieri anche per questioni di "simpatia". di più
Toto -Toto
Si, ok, non saranno proprio il mio servizio da Tè, e non rappresentano certo lo stile e le sonorità che preferisco, ma i Toto son sempre un bel sentire e in particolare questo esordio (come anche il disco successivo) che mi piace molto, è un bel disco davvero. La loro vena pop dei momenti più ispirati e la loro indiscutibile abilità come musicisti in questo primo disco si apprezza particolarmente. Poi oh, io starei ore a sentire Jeff Porcaro suonare la batteria. Dovessi mettere in piedi un "Supergruppo del Pop" il batterista sarebbe lui, troppo facile, un fenomeno. di più
Peter Hammill -Sitting Targets
"Sitting Targets" è un gran disco, come poi tutti quelli di Hammill negli anni '80 fino al 1986, sebbene potrebbe essere considerato un disco transitorio (cosa che, in ogni caso, non ne diminuirebbe il valore) posto com'è tra quel trittico di nuove sperimentazioni sonore nel triennio '78-'80 e gli album con il K-Group. In questo disco l'interesse di Hammill per i nuovi suoni "wave" ha ormai trovato una certa compiutezza, una sicurezza stilistica che porta ad una maggiore "agilità" nelle canzoni, quantomeno rispetto alle scheletriche, disarmanti, cupe strutture di "Black Box". Naturalmente questa è la "Hammillwave" e il suo approccio alla "wave" dell'epoca è del tutto coerente con il suo credo artistico (e a volte marchiata dal timbro del sax di Jackson) e anche qui ci sono canzoni che poco concedono ad un facile primo ascolto, mai banali nella struttura, altre che invece riassumono la migliore esplosività espressiva di Hammill unita a ritmi wave-pop molto brillanti ("My Experience" "Sign" "Empress's Clothes" la splendida title-track). Il "pavimento" su cui si posano è lo stesso dei VDGG, lo stesso anche della genuinità rock viscerale di Nadir, ma riletti in chiave di una wave sui-generis. Poi ci sono pezzi più vicini al rock nadiriano ("Hesitation") delicate ballad chitarra-voce immancabili ("Ophelia") e piano-voce ("Stranger Still" che tuttavia sfocia in un marasma sonoro liquido indefinito) Compatto e vario allo stesso tempo, è davvero un disco molto bello. di più
Led Zeppelin -Led Zeppelin IV
E che devi dire dell'album coi simboli... La band spunta la casella del Blues con l'incredibile rilettura di "When the Levee Breaks", l'epica del blues. Dopo Harper omaggiano un'altra grandissima come Joni con una perla acustica del calibro di "Going to California". Ci regalano due classiconi elettrici come "Black Dog" e "Rock'n Roll" e il loro capolavoro acustico definitivo con "The Battle of Evermore" impreziosito da un duetto sublime di Plant con la mia amatissima Sandy (con tanto di simbolo proprio), regalano due brani più particolari come Misty Mountain (bella) e "Four Sticks" (con cui ho dei problemi a causa del timbro di Plant, ma ha sniffato l'elio in 'sto pezzo ?). E poi ah già... C'è quella canzone del diaulo che è malvagia e se la ascolti al contrario tutti i tuoi album si trasformano in dischi di Nek e Biagio Antonacci. di più
Genesis -Wind And Wuthering
L'ultimo grandissimo disco dei Genesis. Non è un disco perfetto, a volte 'sti ragazzi si davano la zappa da soli sui piedi... L' esclusione di un gran pezzo, perfettamente in linea con il "mood" del disco, come "Inside and Out" per poi inserire lo scivolone mieloso di Rutherford "Your Own Special Way" è inspiegabile dai (che poi anche il ritornello di "Inside and Out" è molto melodico e gnè gnè ma molto più gradevole del pezzo di Mike). Con dentro "Inside and Out" al posto dell'altra per me questo disco sarebbe potuto essere un altro capolavoro, pazienza. Non è perfetto come il precedente ma ha tante cose di altissimo livello, due capolavori di Banks ("One for the Vine" e "Afterglow" che è una delle loro canzoni, di quelle "classiche-lineari" più belle) uno di Hackett (e Phil) che è "Blood on the Rooftops" e altri ottimi brani (Elevent Earl e "In That Quiet Earth"). Puntano più del solito sugli strumentali ("Wot Gorilla" altro retaggio Fusion di Collins, è gradevole ma un po' riempitivo). Le scelte nell'inclusione dei brani sono state discutibili qui, poteva anche essere più bello di com'è, ma la qualità generale è ancora molto alta, e del disco ho sempre amato l'atmosfera grigia, crepuscolare, autunnale e romantica. Per me, un discone. di più
Genesis -Abacab
Il primo disco PROT dei Genesis che dopo un bel disco pop come "Duke" scivolano nell'abisso della canzonetta mediocre. "Abacab" in realtà alterna ancora 'ste cose brutte a sprazzi di indubbia dignità musicale-compositiva di Totonno ("Me and Sarah Jane") e in più ha dalla sua l'ottima "Dodo/Lurker". Sempre piaciuta molto anche la title-track, come pezzo elettro-pop funziona e alla grande oh, è fica, bei suoni, bel ritmo, è azzeccata e dal vivo guadagna ulteriori punti. "No Reply at All" e "Man on the Corner" sono due tutto sommato dignitose canzoni che avrebbero potuto stare benissimo sul coevo esordio solista di Philco (che tuttavia contiene canzoni ben superiori a queste due qui). Purtroppo c'è il resto. Il resto, ahimè, è fuffa. Fuffa brutta. di più
Genesis -Live In Zürich 1977
Altro live (bootleg) del tour di "Wind and Wuthering". Buona qualità audio, anzi per un bootleg direi ottima anche se in qualche punto si sente 'na merda la voce, in altri si sentono demmerda gli strumenti, nel complesso bella resa. Ora, visto che i live dei Genesis su disco sono praticamente tutti uguali e che loro non erano certo degli improvvisatori dal vivo, anche ad un fan basta avere 2-3 live di un paio di periodi diversi e sta a posto. Qui il motivo di interesse, che diversifica la scaletta da quella di altri loro album dal vivo, è la presenza di "Inside and Out", una rarità, un ottimo brano (di composizione collettiva ma credo con il principale zampino di Stefano) finito ignominosamente fuori da "Wind and Wuthering" e relegato ad un'Ep scemo. Bello sentire un'esecuzione live di questa canzone, che meritava più considerazione forse da parte della band. Per il resto rispetto "Second's Out" c'è ancora più W&W in scaletta: una bella esecuzione della splendida "One for the Vine" soprattutto, molto fica, e "In That Quiet Earth". Ah, meraviglie dei bootleg: Phil annuncia Cinema Show ad un certo punto ma Cinema Show nel disco non c'è. Ehr... di più
Crowded House -Crowded House
Disco pop molto fico, quanto mi piace il tiro e la classe dei Crowded House, pop molto eighties ma (quasi) mai scontato. Giusto un paio di pezzi non all'altezza delle vette dell'album (e per vette intendo robe tipo "Hole in the River" "That's What I Call Love" e "Love You 'Til the Day I Die") ma per il resto è roba di qualità. di più
David Bowie -Diamond dogs
Qui non siamo più ai livelli della superba triade "Hunky-Ziggy-Aladdin" ma caspita se è un bel disco anche questo. Suono bello "sporco" e album pieno di belle canzoni, con l'impronta Glam ancora netta che avvolge il pop, il rock'n roll/r&b (di nuovo molto stonesiano, e non sorprende di certo) e dunque qualche accenno più black/souly, oltre a belle ballad dallo spirito decadente e teatrale. Era un Bowie ancora ispirato, era il Bowie di una delle sue molte rivoluzioni personali (band di supporto completamente rivoluzionata, addio ai Ragni Marziani), il Bowie delle produzioni che avevano da poco portato a dischi come "Transformer" e "Raw Power", dove la sua influenza si sentiva in maniera marcatissima, era un Bowie bello ricco e affaccendato, insomma. Bella la title-track, evergreen il riffettino jaggerichardsiano di "Rebel Rebel", bellissime cose come la "suite" (di fatto) in tre parti "Sweet Thing/Candidate/Sweet Thing" o "We Are the Dead" ecc. Unica toppata di un disco molto valido, per me, poteva anche lasciare come finale "Big Brother" e via, sarebbe stato meglio. di più
Neil Young -Rust Never Sleeps
Per farla proprio breve: uno dei dischi più belli di tutti gli anni '70, per il sottoscritto. Leggendario. E l'uso e il suono della chitarra elettrica in questo disco be... credo che nel 1979 e negli anni '70 in generale solo Neil Young suonasse come Neil Young. Nei due decenni successivi invece non si conterà nemmeno la schiera di adepti. Capolavoro. di più
Dire Straits -Dire Straits
Per me i Dire Straits non hanno mai composto un vero e proprio capolavoro, è anche vero però che sono riusciti a infilare 4 bei dischi uno dopo l'altro, sempre godibili e con canzoni di qualità, guidati da un chitarrista be, bravino dai. Questo esordio è un buon disco, ha almeno due pezzoni come il classicissimo "Sultans of Swing" e "In the Gallery". Per il resto brani gradevoli ma senza particolari picchi e, ammetto, qualche punta di noia. Complessivamente però si ascolta sempre con piacere. di più
ABBA -ABBA
Questo disco ha da una parte quello che è forse il singolo spaccaclassifiche che preferisco degli ABBA ("SOS") dall'altra la canzone che è la mia personale vincitrice della più grande #diteloallozioiside di tutti i tempi e di tutti gli spazi dall'alba del Mondo e ancora tra 3000 anni, e non sto nemmeno a dire quale, dico solo che è la canzone che merita lo skip più veloce del west. Per il resto, comunque, a me piace decisamente meno rispetto a "Waterloo" o ad altri loro dischi successivi (soprattutto l'ultimo, che è il migliore) anche se l'Intermezzo strumentale di Andersson e Ulvaeus è carino, il suono è sempre curatissimo, i musicisti preparatissimi e bravi tutti, però meh. di più
Comus -First Utterance
Indescrivibile. Uno dei miei dischi preferiti in assoluto, è tutto ciò che posso dire per il resto non troverei mai le parole giuste per riportare ciò che c'è in "First Utterance". di più
Giuni Russo -Voce Prigioniera Live
Finalmente, nel 1998, un live stupendo che restituisce tutta la grandezza di Giuni Russo e va a rappresentare il secondo vero capolavoro della sua carriera a 17 anni di distanza da "Energie", al quale erano seguiti alcuni dischi molto validi (soprattutto "A casa di Ida Rubinstein", rappresentato nel live quasi per intero) e altri un po' meno, ma nessuno aveva raggiunto quelle stesse vette di eccellenza; 17 anni passati a trovare mille scappatoie per riuscire a incidere e pubblicare la musica che le interessava davvero realizzare oppure a scendere a compromessi con le case discografiche (da qui, ovviamente, il titolo di questo live) costretta il più delle volte a limitare le sue idee e il suo enorme potenziale vocale ed espressivo. "Voce prigioniera" raccoglie una selezione di concerti di Russo negli anni '90 e brilla come coronamento della carriera di un'artista straordinaria, una delle più grandi voci della seconda metà del '900, c'è poco da discuterne, qui colta al massimo del suo splendore e negli anni della sua maturità artistica. La chicca è "Nomadi" di Camisasca, che proprio per lei era stata scritta e pensata in origine, poi regalata ad Alice dopo solito ostruzionismo della casa discografica, qui torna, almeno in sede live, anzi arriva nelle mani della sua prevista interprete originale. di più
Tom Waits -Closing Time
Primo disco, 23 anni e una sfilza di canzoni che nascono per essere degli immediati classici della canzone d'autore americana, con colleghi vari (Tim Buckley nello stesso 1973, Eagles l'anno dopo) pronti come fulmini a dare la loro interpretazione di alcune di esse; atmosfere da locale notturno e fumoso, stile da crooner navigato e malinconia da cuori perennemente spezzati, anime sole, melodie incredibili che scuotono e commuovono, canzoni già vecchie e già eterne, un pianoforte come centro di gravità e una voce bellissima non ancora arrochita da abusi di alcool, fumo e da quella teatralità geniale da vecchia volpe, a volte con canzoni arrangiate per chitarra, il tutto arricchito da una tromba che si fa spesso fondamentale seconda voce e da un brano strumentale da brividi in chiusura ("Closing Time", appunto) tanto per esaltare il talento come musicista e compositore puro, al di là di canto e testi (bellissimi) e, se ci scappa, pure una botta irresistibile da esuberanza di gelataio marpione. Un disco classicissimo, il bello sta tutto nella qualità, enorme, delle canzoni, tutte quante, qualcuna addirittura più delle altre certo. Il Capolavoro del primissimo Tom Waits ('73-'75) per me è questo qui. di più
Emerson, Lake & Palmer -Welcome Back My Friends To The Show That Never Ends - Ladies And Gentlemen
L'apice del trio per me si trova nelle performance e nei dischi dal vivo, lì dove a mio avviso trovano maggior senso gli eccessi, i virtuosismi e le esagerazioni del super-gruppo e dove può essere esaltante ascoltare/vedere Emerson stuprare le sue tastiere in un'orgia di estasi mistica/luciferina/assatanata. Quindi "Welcome Back..." insieme ad un altro paio di loro live è la cosa che apprezzo di più degli Ellepì. Apice, anche concettuale, del live è ovviamente l'infinita versione di "Karn Evil 9" (35 minuti) baccanale circense di eccessi e simbolo della simbiosi Emerson/strumenti a tastiera. Tuttavia per me, anche in questo live, il momento più emozionante è quando sale in cattedra Lake. L' apice dell'album è infatti il medley di brani composti interamente da Lake "Take a Pebble/Still... You Turn Me On/Lucky Man" tutti eseguiti in versione completamente acustica. Lake da brividi. di più
Emerson, Lake & Palmer -Emerson Lake & Palmer
In studio, per me questo esordio resta il miglior lavoro del trio. Più fresco rispetto a quello che verrà, con l'esibizione all'Isola di Wight sullo sfondo, solo di pochi mesi addietro, che ancora li presentava come una rock-band; diversa, nel proporre il linguaggio del "rock", ma pur sempre una rock-band. Emerge anche qui la potenza rock, fortunatamente concisa in 5 minuti, nella splendida "Knife-Edge" che muovendosi tra Janacek e Bach ci regala una prova incendiaria, e bellissima, del trio. Gli altri due capolavori dell'album sono brani originali invece e, guarda il caso, portano entrambi la firma di Lake. Il resto (come e soprattutto "The Three Fates") invece conferma il mio scarso feeling con Keith Emerson nelle vesti di compositore. di più
The Blasters -Hard LIne
Se non sbaglio, disco concepito quando ormai i fratelli Alvin passavano almeno 15 ore al giorno a sputarsi addosso eppure, come è accaduto più e più volte in musica, il risultato è quello di un'opera che rasenta la perfezione, un capolavoro che con spirito di quel revival che viveva anni d'oro all'epoca, attraversa la maggior parte dello spettro della musica popolare americana: il pop, il rock'n roll, il rockabilly, il country, il gospel, l'R&B, la ballad, insomma "Hard Line" è il bignami esaltante della "canzone pop americana" più bello che si possa immaginare di ascoltare, frutto della maturazione come autore di Dave Alvin, che infila una dietro l'altra una serie di canzoni perfette nella loro essenzialità, senza sottovalutarne il valore dei testi, che spesso aggiungono notevole "profondità" alla semplicità musicale (penso a "Little Honey") ma anche di Phil come cantante e arrangiatore, sempre con i tocchi giusti, con i ritmi giusti, impossibile togliersi dalla testa i solini di chitarra di "Hey, Girl" o il riffetto assassino di "Common Man", o l'interpretazione grandiosa del traditional "Samson and Delilah". Come ciliegina, si accetta il regalo del Puma Mellencamp sotto forma di ennesima grandiosa canzone pop, forse il vero centro di gravità espressivo del disco insieme a "Just Another Sunday", che è il simbolo della scrittura maturata al punto giusto di D.Alvin. Masterpiece. di più
Cows -Taint Pluribus Taint Unum
Una band di vacche pazzoidi di Minneapolis. I Cows appartengono assai fieramente a quel filone di band che partendo da garage e rock'n roll grezzo si tuffava nel marasma delle più violente distorsioni noise, con in mezzo l'inevitabile lezione del punk e, ogni tanto, qualche rallentamento di una matrice blues così deformata da essere irriconoscibile o del tutto nuova, comunque. E non dimenticavano un'iconoclasta fierezza dilettantistica, una furia espressa in mezzo alla merda, la provocatoria passione nel suonare male musica, all'apparenza, brutta. E fastidiosa. Dico all'apparenza perché poi, in mezzo al rumore, alle chitarre che sono puro sfondo dissonante e senza senso, ci sono brani rock'n roll/garage/punk che sono ottimi brani rock'n roll/garage/punk tipo "Sieve" "Yellowbelly" "Mother (I Love That Bitch)" per dirne alcuni. C'è il divertimento di suonare canzoni che sembrano prese per il culo da quanto sono storte e malfatte, e divertenti risultano davvero (e quella trombetta che spunta ogni tanto, tutta sbagliata, che bella; e la genialoide cover di Philip Glass ? Bellissima, cioè bruttissima). Certo, se uno mi dicesse "ma che è sta merda" avrebbe tutte le ragioni e, probabilmente, bisogna essere matti per apprezzarli ma tant'è... Questo loro disco di esordio, uno dei più storti e pazzi della loro discografia, è il miglior biglietto da visita possibile per la musica delle Vacche di Minneapolis. di più
Lydia Lunch -Queen Of Siam
Nenie morte, cantilene divise tra la noia e il mal di vivere, a volte oltre il limite dell'irritazione ("Tied and Twist"), con quella vocetta da dodicenne in preda a languori sessuali, che verso metà del disco sfumano in fumosi e notturni swing-jazz-blues da locale malfamato, da vecchia canzone di un(a) crooner poco raccomandabile, dove la bambina si fa ironica, ammiccante, nel suo parlato-cantato ("Lady Scarface") o in cabaret grotteschi pieni di storture ("Carnival Fat Man") e diventa fondamentale l'apporto della Billy Ver Plank Orchestra così come è fondamentale l'apporto di Pat Irwin per l'intero disco, in brani che presentano spesso code strumentali quando la nenia di Lydia si esaurisce ("Cruise to the Moon" è addirittura interamente strumentale, ed è una delle migliori). C'è anche della concessione alla canzone pop, quel pop degli anni '60 che la "Queen of Siam" ha spesso dimostrato di prediligere; in questo caso è la sua personale versione di "Spooky", uno dei momenti più "catchy" e divertenti del disco. L'altra cover, "Gloomy Sunday", che già di suo vivace non è, viene completamente assorbita nel mood da nenia in stato comatoso della prima parte del disco, tra l'altro uno stile che a questa canzone calza a pennello. Questo è di sicuro un esordio solista che lascia il segno, non poco. Disco molto bello per quanto ci siano cose sue che ho apprezzato anche di più. di più