E' inevitabile parlare del sesto (o settimo) album dei Deftones senza iniziare dal tragico incidente che ha coinvolto il bassista Chi Cheng, in coma ormai dal 2008. Inevitabile perché se lo spietato destino non avesse fatto il suo sporco gioco saremmo qui a parlare di altre storie, di altri scenari, di un altro lavoro che avrebbe dovuto chiamarsi "Eros" e vedere la luce proprio due anni fa, diventando così il legittimo successore di "Saturday Night Wrist". Ci ritroviamo invece con comprensibile e giustificato ritardo a dover analizzare un album diverso, il capitolo sicuramente più doloroso di una lunga e luminosa carriera.

Sono passati 15 anni da quando i Deftones irrompono sulla scena musicale etichettata come crossover affermandosi come forza di prima grandezza del movimento. Vincente sin dall'adrenalinico esordio del 1995 la ricetta proposta dalla band meticcia californiana: ritmiche ossessive, chitarre abrasive e taglienti e testi non meno violenti e perversi. Momento irripetibile nella discografia dei nostri è senza dubbio "White Pony" in cui il suono arrivato alla sua piena maturità, porta il disco a ergersi come uno dei monumenti dell'ultimo decennio. Seguiranno altre due prove di alto valore ma che non riusciranno a ripetere la formula vincente che portò alla creazione di un vero capolavoro.

Veniamo quindi a questa sesta (o settima) prova intitolata "Diamond Eyes" e da subito appare chiaro l'intenzione dei cinque di creare qualcosa destinato a sorprendere. Apre le danze la title track "Diamond Eyes" in cui i Deftones mostrano il meglio del loro repertorio: il riff pesante e minaccioso si mescola con un'affascinante linea melodica che riesce a non soccombere sotto il peso del rumore. "Royal" e "CMND/CTRL"  sono un tuffo indietro nella rabbia nella crudezza degli esordi: i riff solo all'apparenza semplici ma inanellati con aspra e sanguinosa incisività, sono un marchio di fabbrica dei canadesi e si preannunciano spettacolari dal vivo. "You've Seen The Butcher" è uno dei pezzi forti del disco: Delgado crea nell'aria castelli di impressioni, sublimi e perverse parvenze, che si sposano facilmente con la voce ammaliante di Chino e con le chitarre ruvide e taglienti di uno Stephen Carpenter in grande spolvero. Ma il fascino dei Deftones deriva anche dal fatto che, come pochi, sanno essere capaci di aprirsi all'occorrenza in suggestive trame melodiche come quelle di "Beauty School". Mai così affascinante e preziosa, la melodia di questo brano è trascinante dalla prima all'ultima nota e il testo mantiene un effetto onda che ti porta via. La sesta traccia, "Prince", ha un nonsochè di simile alla vecchia "Rx Queen" e ci riporta di conseguenza ai toni e alle atmosfere claustrofobiche di "White Pony". "Rocket Skates" sfodera ritmi irrefrenabili e break devastanti a cui è quasi impossibile resistere; una volta partita non si può far altro che lasciarla correre impazzita fino alla fine trascinata dalle urla feroci di un Moreno indomabile (Guns! Razors! Knives!). Spettacolo puro.

Si riprende un po' di fiato con "Sextape", episodio più soft dell'album, una ballad dalla bellezza incantatoria che suona come la perfetta colonna sonora di una notte dal sapore magico e romantico. "Risk" è un'altra canzone tipicamente deftoniana, con Delgado ancora una volta a creare un oceano di effetti speciali in cui s'immerge senza scrupoli la vocalità unica di Chino, accompagnata da un riff più che mai sontuoso. Gioiello minaccioso è "976-EVIL", in bilico tra una melodia e un testo che emozionano già dal primo secondo e una vorticosa discesa nell' oscurità del chorus. Chiude l'opera "This Place Is Death", traccia dalle atmosfere confuse e labirintiche che delude un po' chi ormai si aspettava un finale esplosivo.

I Deftones hanno quindi raggiunto un risultato incredibile anche se purtroppo figlio di un drammatico evento. Il giudizio finale più giusto sarebbe quattro e mezzo ma dato che non si può, per adesso è un bel quattro. Sarà il tempo e qualche ascolto un più a decidere se questo potrà davvero essere il nuovo "White Pony". Per il momento tutti i clismi del capolavoro ci sono.

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