Si lo so, questo album è stato gia recensito due volte (anzi una e mezza) ma sinceramente, e con tutto il rispetto, penso che non gli sia stata fatta giustizia fino in fondo. Allora voglio dire la mia, sperando e illudendomi di mettere le cose a posto. "Playing The Angel" è davvero un grande disco, un nuovo sorprendente capitolo della serie "grandi gruppi che sembravano finiti e invece...." anche se a dare per finiti i Depeche Mode si rischiava ancora di fare una brutta figura o comunque sembravano meno bolliti di tanti altri. Certo che comunque "Exciter" ci aveva lasciato quanto meno interdetti, un album troppo pretenzionso, a tratti banale e lento, a tratti piacevole e a tratti spigoloso e irritante, che falliva nel tentativo di trovare equilibrio tra melodia e rumore sperimentale che invece era stato sempre il punto di forza dei Depeche Mode dando vita negli anni a musica fantastica e fantascientifica.

"Playing The Angel" al primo impatto sembra addirittura peggio! Un disco complicato, quasi fastidioso, che trasmette un lieve senso d'ansia e concede rari spiragli melodici, un disco dal ritmo tirato e nervoso, sofferente, claustrofobico, contorto e accartocciato su se stesso, ma soprattutto un disco cupo, pesante, disperato e oscuro, oserei dire quasi dark. Solo che alla fine resta un sapore intrigante in bocca che fa venire voglia di assaggiarlo di nuovo e quando questo avviene significa che qualcosa di straordinario sta per succedere...
... e infatti è successo. Direi dopo almeno sei o sette ascolti, tutto comincia a rivelarsi nella sua perfezione, i suoni prima scontrosi e sporchi diventano limpidi e avvolgenti e tutto si svela in una specie di incantesimo misterioso che solo noi che ascoltiamo la "musica difficile" abbiamo la pazienza di aspettare e saper riconoscere percorrendo la strada che porta alla bellezza assoluta. Scopro così che è proprio il senso di claustrofobia e di ansia, l'essere cupo, contorto e sporco e la malinconica disperazione arginata a fatica che rendono fantastico questo disco che adesso definirei un "Violator" moderno, più complicato e più scuro.

Dodici brani con la stessa chiave di lettura. I primi cinque in serie, strepitosi, scintillanti e taglienti come lame a parteire dall'attacco spacca timpani di "A Pain That I'm Used To" che è un rock 'n' roll elettronico, seguito dalla trascinante "John The Revelator" che invece è una sorta di cyber-blues, poi c'è "Suffer Well" strana e tirata, sofferente in effetti, con suoni che richiamano il passato, e poi arriva "The Sinner In Me" la più bella della sequenza, incredibile, lenta, sinuosa e ossessiva cavalcata ipnotica su una sola nota che si apre in un ritornello struggente e poi ricomincia a picchiare giù duro, roba che va bene da mezzanotte in poi, fino ad arrivare a "Precious", il singolo famoso, che sarà pure radiofonico e orecchiabile ma porca puttana se è bello.
Dopo si rallenta, la sesta traccia "Macro" cantata dall'immenso creatore di tutto Martin Gore, comincia in modo affascinante ma poi si perde in una struttura un po' troppo lirica tanto da sembrare un pezzo scritto per un musical. E quando stai per perdere il filo, all'improvviso arriva il proiettile che ti colpisce al cuore, si chiama "I Want It All" canzone fantastica e senza scampo, canzone senza tempo, che resterà nei nostri ricordi e nelle antologie di musica elettronica, paradigma perfetto dei nuovi Depeche Mode. Ma non è finita qui, perchè il delitto si ripete subito dopo, secondo proiettile, "Nothing Is Impossible" delirante dark elettronico tendente lievemente al gotico, dal ritmo incalzante ed ossessivo, una canzone nera e buia da far tremare. Pelle d'oca. Poi si rallenta di nuovo con un breve brano strumentale dal titolo "Introspective" seguito da "Damaged People" cantata di nuovo da Gore e che ripete un po' le pecche dell'altra.
Prima della fine però arriva il terzo proiettile, quello definitivo. Ha il nome di una donna, "Lilian" veloce e tagliente, malinconico e splendente fulmine pop-elettronico, ho quasi paura a dirlo, ma forse è una delle più belle canzoni di sempre dei Depeche Mode. L'album si chiude con un brano difficile "The Darkest Star" melodia vaga, ritmo lento e arrangiamento contorto, affascinante ma imprendibile, canbia continuamente e necessita forse di altri ascolti (che non mancheranno).

Dietro al CD c'è una scritta, sei parole che riassumono l'album in modo perfetto e rendono inutile tutto quello che ho scritto: "PAIN AND SUFFERING IN VARIOUS TEMPOS".

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