Dopo la grande stagione del neorealismo, e quella del post-neorealismo (con tutte le sue biforcazioni, tra cui il neorealismo rosa che vide la nascita di film come “Due soldi di speranza” o tutto il filone dei vari “Pane, amore e...”), nasce, nel 1958, o almeno questa è la data alla quale si fa riferimento, la commedia italiana, complice il monicelliano “I soliti ignoti” (c'è chi la data due anni prima, 1956, con l'uscita di “Poveri ma belli”, ma è più corretta la prima ipotesi).
La commedia all'italiana è l'acqua della vita, la linfa vitale su cui poggia (quasi) l'intero cinema italiano per almeno un trentennio (volendo, la commedia italiana esiste anche oggi ma certo con l'avvento dei comici televisivi e il venire meno di alcune figure cardine di quella stagione, registi e sceneggiatori in primis, si può ben dire che verso la metà degli anni '80 la commedia all'italiana finisca senza appello). I nomi che la rendono grande sono tanti, fra cui i migliori sono Mario Monicelli, Dino Risi e Ettore Scola. Gli attori sono quelli, i Sordi, i Gassman, i Tognazzi, i Manfredi, gli sceneggiatori, su tutti, Age e Scarpelli. A leggerli oggi nomi da museo, reperti archeologici, ma fu una stagione talmente esaltante che nulla, dico nulla, scalfirà mai il mito di questi nomi.
“Il sorpasso” (e poi, l'anno dopo, “I mostri”) è l'esempio massimo di cosa fu la commedia all'italiana. Raccontare un paese (oggi non si racconta più nulla, da “Vacanze di Natale”, 1983, in poi si è sempre esasperato tutto rendendo macchiettistica ogni pretesa di realtà, involgarita dagli anni '80, quelli dell'edonismo reaganiano), raccontarlo attraverso i suoi tipi, le sue figure, le sue mode e le sue musiche. Il Bruno Cortona/Gassman che con la sua Lancia Aurelia Sprint attraversa l'Italia da Roma alla Toscana è l'esempio di uno dei tanti fanfaroni (il titolo francese è, non a caso, “Le fanfaron”) che si potevano incontrare in Italia a quell'epoca. Nel 1962, l'anno di uscita del film, l'Italia è in pieno boom economico (l'anno successivo rappresenterà il massimo momento di benessere economico in Italia, dati alla mano) e fare affari, in modo furbastro, è spesso una necessità che però appare redditizia visto che laddove è presente un boom economico tutto sembra possibile. Attraverso l'Italia, sfreggiando al suono di un clacson che farà epoca, vediamo gente comune andare in vacanza, spiagge affollate di persone che fino a pochi anni prima nemmeno ci avrebbero messo piede (è nato, in quegli anni, il fenomeno del turismo di massa), contadini ballare il twist e i primi, seppur blandi, coming-out (la battuta, oggi impensabile, sul domestico gay che tutti chiamano “Occhio Fino”, cioè finocchio).
Fa da contraltare il giovane studente interpretato da Jean-Louis Trintignant che, in una Roma ferragostana caldissima e spopolatissima, viene (quasi) costretto dal Cortona a viaggiare con lui. Inizalmente, dice quest'ultimo, per un viaggio breve, poi le cose prenderanno un altra piega. Altro tipo italiano dell'epoca, lo studente universitario che sogna un futuro da laureato (in una famiglia che, probabilmente, di laureati non ne aveva) e che vede l'avvenire come un qualcosa in cui tutto è possibile. Non conosce, però, i vizi che quell'epoca stava portando, celebre, in questo caso, la battuta di Gassman/Cortona: “Non bevi, non fumi, non sai nemmeno guidare la macchina, ma ti godi la vita, tu?”.
“Il cialtronesco Gassman, finalmente libero, come lui stesso ammette, dai vincoli delle caratterizzazioni, dai ghigni classicheggianti, esprime in alcune sequenze la sua dirompente fisicità. […] Come in La grande guerra e Una vita difficile il cinema italiano aveva trovato, se non un vero e proprio stile, un equilibrio basato su una precisa rappresentazione della società italiana, senza dover ricorrere ai macchiettoni che il depravato cinema d'oggi mostra con lugubre allegria” (Pino Farinotti)
Sul set furono molti i momenti in cui Gassman usciva dal copione improvvisando (va detto, che la prima scelta di Risi, e dei suoi sceneggiatori Scola e Maccari, ricadde su Sordi, impegnato su altri set), e celebre fu la sua improvvisazione riguardo il cinema di Antonioni (“Bel regista. Io ho visto il film (si riferisce a “L'eclisse”), 'na dormita”), che poi, improvvisata, diciamo che nemmeno a Risi Antonioni è mai stato simpaticissimo (come avrà modo di ricordare ancora, molti anni più tardi, in un intervista al Corriere della Sera), ma non mancano nemmeno battute su Modugno, gli urlatori dell'epoca e i cummenda spocchiosi che, proprio in quegli anni, nascevano e prolificavano.
Da segnalare, ovviamente, la presenza di una radiosa Catherine Spaak, e il solito astio che la critica, soprattutto all'inizio, riversava sulla commedia all'italiana, tanto che, mentre i critici stroncavano “Il sorpasso”, il pubblico, accorrendo al cinema, ne decretò il successo e la definitiva entrata nel Pantheon delle pellicole che avrebbero segnato il costume, e la storia, del cinema italiano. Tanto che un certo Dennis Hopper, anni dopo, affermò che il modello di riferimento a cui si ispirò nel girare “Easy Rider” (1969), fu proprio codesto capolavoro targato, appunto, Dino Risi. Fate voi.
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