"Love over gold" si sente rivestito dello stesso compito che era toccato a "Communiquè", vale a dire quello di confermare e ampliare il proprio predecessore. Questo perchè i Dire Straits con "Making movies" hanno aperto un nuova fase musicale della propria carriera, fase iniziata con il botto ma, appunto, bisognosa di certezze. E se "Communiquè", rispetto all'album d'esordio, aveva confermato troppo e ampilato poco, "Love over gold" porta vittoriosamente a termine la missione sparando soli cinque colpi. Pochi, precisi, mortali.

La linfa musicale che scorre attraverso il quarto lavoro dei Dire Straits conferma che il loro padre-padrone, lo schivo e pacato Mark Knopfler di Glasgow, ha raggiunto lo zenith della propria creatività artistica; il disco viene concepito in quel momento di libertà di cui un artista di successo gode appena dopo essere entrato nell'Olimpo ("Making movies") e appena prima di essere dichiarato immortale ("Brothers in arms"), con tutti i pro e i contro del caso. E' quel momento in cui gironzoli affascinato per le vie di una nuova città poco prima di abitarla in pianta stabile, scoprendone i problemi. Non sono molti gli artisti che sanno sfruttare questo attimo, non sono molti coloro che si rendono conto neanche di averlo a disposizione, ma Knopfler sì, e allora ecco un disco di poche tracce in cui non solo viene ripreso il discorso interrotto due anni prima ma viene arricchito tanto da sembrare quasi un altro, con nuovi vestiti e una pettinatura spiazzante.

Girando per le vie di quella città, ci si imbatte subito nel più imponente dei monumeti e si rimane a bocca aperta per quattordici minuti: "Telegraph road", signori, è il Colosseo di Knopfler, è la piazza Duomo dei Dire Straits, la tour Eiffel di "Love over gold". Si ha subito la sensazione che il disco sia stato studiato nota per nota vista l'accuratezza dei suoni e la perfetta danza di piano, chitarra e voce, che dominerà poi tutto il lavoro. Il continuo crescendo del pezzo innalza quel monumento di battuta in battuta, e già durante il primo assolo si capisce che sarà una delle enne meraviglie straitsiane. Dietro l'imponenza, la riservatezza: "Private investigations" è un bar accogliente che si trova appena usciti dalle vie del centro, un bar di solitudini, musicisti annoiati e ottimi drinks. L'azzardo di lanciarla come primo singolo del disco dopo che il pianeta aveva ancora nelle orecchie "Tunnel of love" ha del folle e tremendamente affascinante. Knopfler stupisce chi lo ascolta parlando una canzone che forse è l'espressione più sincera di quel cielo tempestoso raffigurato in copertina. Poi ci sono le frivolezze, le vie del centro con i giocolieri e le luci dei negozi zeppi di inutilità apparente e storie di gente, c'è "Industrial disease". La mamma di "Walk of life", e nonna di "Cannibals", racconta con fare giocoso uno dei testi più impegnati della carriera di Knopfler, un po' come le vetrine ricche di giocattoli nascondono dietro al bancone un uomo triste che sorride ai bambini. Sta lì in mezzo, "Industrial disease", quasi a concedere un intervallo tra un primo tempo tempestoso e un secondo più romantico. La title track infatti rappresenta una delle ballate più riuscite all'omino di Glasgow, che fonde assieme in modo incredibile la melodia con il testo tramite la figura della ballerina su ghiaccio ("..you're a dancer on thin ice.."), forse l'unica immagine che riesce ad esprimere il freddo gelido che circonda una canzone calda e rasserenante come "Love over gold", una pista di ghiaccio nel cuore della nostra città dove la gente, finito di pattinare, beve cioccolata e tea fumante.

"It never rains", a chiudere, è uno di quei pezzi da ascoltare quando tutto va a rotoli per via del bene che sprigiona: è una carezza sulla testa, è l'immagine di una donna vista piangere attraverso la finestra, con quelle "tears of a clown" sulle guance, donna che abbracceresti per il solo fatto che mentre si ascolta "yes and it's all that remains of the years spent doing that round..." non si può non voler bene a qualcuno. La seconda parte della canzone, da 3:53 in poi, diventa più aspra, distante, come disillusione, la fine di un sogno che la prima parte aveva regalato. L'assolo wahwah conclusivo riporta con i piedi per terra e chiude degnamente quello che è il capolavoro dei Dire Straits.

Del disco in questione avrebbe dovuto far parte anche "Private dancer", scritta da Knopfler e portata poi al successo da Tina Turner. Su questo punto, pare che Knopfler al momento di incidere il pezzo si fosse sentito a disagio a cantare un testo che aveva come protagonista una donna, e nella fattispecie una puttana. Ha quindi pensato a Tina Turner.

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