Nel settembre del 1982, mentre ascoltavo per radio la classifica dei 45 giri più venduti nel Bel Paese, sento la speaker citare il nome Dire Straits ed un brano (che poi si rivelerà "Private Investigations") piuttosto melenso con una onnipresente chitarra acustica intenta ad accompagnare quasi tutta la composizione, che mi lascerà un pò pensieroso.
Non è stato certo, il brano che mi aspettavo facesse da ponte tra "Making Movies" ed il suo (più che degno) successore "Love Over Gold". Infatti anche con questo disco diverse cose sono cambiate, a partire dall'immissione ufficiale nel gruppo del capacissimo californiano Hal Lindes (rhythm guitar) e del bravissimo Alan Clark (keyboards), ed a terminare con il lavoro di produzione interamente accaparrato da Mark Knopfler. Inoltre i brani si riducono a cinque, con un allungamento (qualche volta anche forzato?!) nel finale per tutti per almeno un buon minuto e mezzo.

Si parte con quella che io definirei la traccia più provocante ed anche più completa: "Telegraph Road". In questa canzone troviamo quelli che sono tutti gli elementi che caratterizzano il suono dei Dire Straits: un lento e toccante cantato che và irriggidendosi man mano che il brano prende quota(e voi appassionati sapete cosa voglio dire), le chitarre e le tastiere che magicamente riescono a camminare su due binari paralleli, fondendosi superbamente in un tutt'uno nel munifico finale. In "T R." così come in "P.I.", l'inclinazione del leader verso il western sound di cui abbiamo già parlato in altra sede, diventa (come avrà notato l'attento ascoltare e forse anche quello meno attento:-)) un elemento nodale per i Dire Straits degli anni '80, e più di un presentimento per quello che sarà il prossimo futuro di M.K..
Il lato due viene inaugurato da "Industrial Disease", track che io definirei allegra portatrice di buon umore, che gira intorno ad un divertente giro di keyboards (oramai fondamentali!!) e ad una presa in giro sui disastri industriali che potrebbero verificarsi. La title-track è un vera perla, una chitarra acustica che domina la scena così come un interpretazione vocale tra le più intense, e caliginosi interludi strumentali che ben accompagnerebbero un incontro d'amore su celluloide (colonne sonore in arrivo?). "It Never Rains", che colpisce per la sua schiettezza, ci ricorda che anche Mark Knopfler sa comporre affascinanti canzoni senza partorire ogni volta una miriade di accordi, e che comunque i finali sono sempre l'estremo sfogo del suo amore per quello strumento che ancora oggi (e forse più nel passato) più degli altri risulta aver contraddistinto la maggior parte dei gruppi rock della storia.

In conclusione un prodotto che seppur meno facile dei precedenti, rappresenta la giusta prosecuzione a quanto musicalmente concepito sino a quel momento.

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