Oggi vorrei parlarvi di un disco sconosciuto registrato da una band misteriosa, letteralmente svanita nel nulla (a parte Njj, ancora attivo musicalmente con il progetto Robin Loop).

Non temete, non vi proporrò il greatest hits di qualche oscuro cantautore moldavo, ma resterò, come si dice, nel seminato, evitando addirittura di superare i confini nazionali.

Torniamo indietro di una ventina d'anni (sono costretto a essere approssimativo, perché in rete le notizie sono scarse e devo affidarmi ai ricordi): il rap italiano sta risorgendo dopo un periodo di forte declino, c'è fermento, si organizzano eventi ed escono LP tutto sommato apprezzabili.

Proprio in quel periodo (2003/2004, all'incirca) viene dato alle stampe Beta Coupè, esordio dei Dodici Hertz che per l'esigua durata (dieci tracce di cui alcune brevi e strumentali) può essere considerato un mini-album o addirittura un EP.

Poco importa, perché il contenuto della prima e ultima prova del gruppo milanese è pregevole. Anzi, volendo esagerare, si potrebbe considerare una delle vette raggiunte dal rap tricolore almeno nel nuovo secolo.

Cosa rende Beta Coupè interessante e, soprattutto, cosa lo distingue dalle altre uscite dell'epoca? In primis, occorre rimarcare la distanza rispetto alle produzioni contemporanee provenienti dal capoluogo lombardo: se i Club Dogo erano i maggiori esponenti di una corrente stradaiola e "ignorante", vicina alle sonorità e alle tematiche classiche del genere, i Dodici Hertz si collocano in una dimensione molto diversa, fatta di intimismo, profondità e riflessione.

Qualcuno si chiederà cosa c'entri tutto questo con l'aggressività degli afroamericani che risolvono problemi a colpi di Glock. La risposta è semplice anche se non scontata e cioè che il rap è solo un mezzo per descrivere la realtà quotidiana oppure per dare un corpo (o meglio una voce) ai propri pensieri. Come fanno, appunto, i Dodici Hertz.

Torniamo dunque a Beta Coupè. I meriti di questa autoproduzione sono numerosi e riguardano sia il lato musicale sia le liriche.

I beat creati da Saro si rivelano raffinati, suggestivi e oltre a contenere una serie di riferimenti (il jazz, l'underground hip-hop, certi ritmi lenti provenienti dal Regno Unito) spiccano per il tentativo di fondere, in alcuni casi, campionatori e strumenti suonati dal vivo (da fan del sottosuolo ho gradito le batterie, potenti e sporche al punto giusto).

Le basi dal gusto internazionale sono assolutamente adatte ai versi di DJ One-C e Njj. I due MC hanno uno stile diverso, più calmo e sussurrato il primo e più complesso, verboso il secondo, ma riescono in qualche modo a trovare la quadratura del cerchio e a convivere senza fare a pugni (metaforicamente, s'intende).

Il lavoro di scrittura viene svolto in buona parte da Njj, sicuramente più dotato dal punto di vista tecnico, tuttavia sarebbe errato ridurre Beta Coupè a un puro esercizio di stile, perché i Dodici Hertz stupiscono anche sul versante degli argomenti e per la loro inclinazione a trasmettere visioni e sensazioni.

Un brano come "Percezioni.", piazzato dopo l'intro atmosferica di "MOOCOGONOOMOROCONO." (con tanto di voci provenienti dallo spazio e magnifici strumenti a fiato), rappresenta un ottimo biglietto da visita: base malinconica, violini toccanti nel ritornello e rime conscious, per un risultato davvero notevole ("Malelingue in malafede con maleparole mi depistano/Mi propongono vantaggi raggirandomi con fraseggi ben aggettivati/Gadgets, mentre il vate del gotha del mondo del vuoto/Nuota in un mare di rumore, cerco suoni e parole/Nuove").

Il trio non si immerge in sperimentazioni radicali, eppure manifesta il desiderio di parlare di cose diverse, allontanandosi decisamente dagli stereotipi più noiosi.

Questo approccio porta alle considerazioni di "Sabato pomeriggio.", impreziosite da un beat dal sapore jazz caratterizzato da bassi potenti, oppure alla critica sociale della tesa ".TV", dove Njj non ci pensa due volte a mandare a quel paese chi capita, un po' come Edward Norton ne La 25ª ora.

In "Avanzi." lo sguardo diventa ironico, senza dimenticare i consueti obiettivi, ad esempio i falsi MC ("Io no parlare tua lingua, io penna tu vanga/Tu vai bene, io ben venga tuo rap dura minga"). Da segnalare la produzione minimal con gli scratch di DJ One-C (suoi tutti gli interventi ai piatti) e il sample vocale in apertura, il mitico "No, so' Magnotta", tratto da uno degli scherzi telefonici subiti dal bidello aquilano.

Infine meritano una menzione speciale i due interludi, il trip-hoppeggiante "Black Boom-Bay" e l'ode al turntablism di "Safety Car." (erano proprio fissati con le macchine), episodi che mettono in risalto l'eccellente cura del suono di Beta Coupè.

Qualche pecca va sottolineata: la brevità, le frasi fin troppo bisbigliate di DJ One-C e il rischio che l'aspetto formale prevalga, a tratti, sul significato dei testi.

Nonostante ciò è impossibile non notare lo scarto qualitativo che separa i Dodici Hertz dal resto della scena, inclusa quella attuale.

Saro, DJ One-C e Njj sono lontanissimi da autocelebrazioni e volgarità assortite e lo dimostrano alla perfezione con un lavoro ricercato, capace di trovare il giusto equilibrio tra educazione, intrattenimento e sano cazzeggio (nell'outro "Ohh!" saccheggiano gli esilaranti dialoghi di un film porno degli anni Settanta).

Certo, la scelta di essere così diversi si è rivelata una mossa controproducente, fallimentare dal punto di vista delle vendite. Inoltre fa rabbia sapere che i tre non siano riusciti a creare un seguito, a indicare una via alternativa all'hip-hop in Italia, cadendo fin da subito nel dimenticatoio.

A maggior ragione, il mio consiglio è quello di salire ancora una volta sull'automobile dei nostri amici, magari un po' vecchia e truccata alla bell'e meglio, ma senza dubbio più vera di una Lamborghini noleggiata per il video del trapper scarso di turno.

E alla fine del giro, sono sicuro che avrete voglia di partire di nuovo.

Carico i commenti... con calma